Les Sauteurs

Il cinediario di Abou, un migrante maliano, dalla frontiera con il Marocco al sogno europeo

«Sento che esisto perché sto filmando», con queste parole in over, il maliano Abou Bakar Sidibé si definisce vivo. Un’esistenza in fuga, in attraversamento di un confine, dall’Africa al Sahara, dal Marocco alla Spagna, verso l’Europa. Da più di un mese vive insieme ai rifugiati sul monte Gurugù, alle spalle della città autonoma spagnola di Melilla in territorio marocchino, alla ricerca disperata di un varco da attraversare, di una recinzione da superare, di un salto da realizzare insieme al suo popolo, per raggiungere un sogno, per raggiungere gli amici che sono saltati prima di lui, oltre il confine, verso un futuro diverso.

Les Sauteurs è un documentario che si discosta dalla rappresentazione occidentale dell’emigrante. Les Sauteurs è un cinediario diretto dai veri testimoni, dove lo sguardo non intercetta le geometrie dell’immaginario occidentale, non guarda attraverso gli occhi di chi già è libero, ma riesce ad intercettare il corpo, lo sguardo, il cuore di chi combatte per saltare oltre la recinzione, lontano dalla retorica del cinema, lontano dallo sguardo che rimane al sicuro dietro ad una frontiera amica. Il documentario è un esperimento sublime e riuscito, che supera la differenza tra enunciato ed enunciatore, lasciando che gli occhi che guardano, e filmano, siano i veri testimoni di un testimone. Gli occhi di una popolazione in fuga che si autorappresenta attraverso il meccanismo cinematografico, attraverso la verità che solo loro realmente conoscono. Si vivono e condividono le botte sulla barriera, si vive e condivide la morte causata dalla scalata, si vive la paura della notte, il degrado del campo, si vive attraverso i loro occhi, attraverso la loro materia filmica in grado di ricostruisce la verità; uno sguardo unico, partecipativo, dentro la loro crudele realtà. Moritz Siebert e Estephan Wagner riescono a dare a Abou la possibilità di raccontare – concedendo una telecamera che lo stesso userà per filmare e filmarsi – scegliendo di intervenire solo in post produzione, attraverso il montaggio e il commento in voce over che determina i sentimenti di ciò che ci viene mostrato.

La consapevolezza di esistere viene veicolata attraverso il mezzo creatore di immagini, un’esistenza che si può autodefinire viva solo se produce immagini e se è parte integrante della realtà filmata. Come se il suo sguardo definisse i confini del reale, tra ciò che esiste in quanto filmato e ciò che è filmabile in quanto esiste. Filmo ergo sum. Sembra questa la necessità di esistenza che dalla frontiera gli emigranti urlano contro il cielo, contro le recinzioni, contro la polizia che impedisce il transito, contro l’obiettivo notturno che cerca di scovare, nella boscaglia, i transiti umani. Siamo filmati quindi esistiamo, tramite gli occhi delle televisioni estere, tramite gli obiettivi dei documentaristi, tramite i video a circuito chiuso che riprendono e sorvegliano i tentati assalti alla barriera. Sguardi non sempre oggettivi, sguardi che spesso non riescono a vedere attraverso la loro appartenenza - restando sguardi dentro ad un confine amico - a sentire attraverso la loro pelle, a sperare attraverso i loro sogni. Almeno nessuno è riuscito fino ad ora a confrontarsi con il loro punto di vista, lasciandogli la libertà di raccontarsi - e se è filmato è vero - nessuno mai è riuscito a concedere significato alle immagini tanto quanto accade in Les Sauteurs, che rimane un lavoro distanziato, tremendamente vivo, teorico, reale, e sincero.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 03/03/2017

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