I nostri anni migliori

Ma soprattutto ci vuole coraggio

A trascinare le nostre suole

Da una terra che ci odia

Ad un’altra che non ci vuole

Pane e coraggio, Ivano Fossati

Lampedusa, febbraio duemilaundici, prime ore del mattino. Nader, Mouez, Mehrez e Fethi ce l’hanno fatta. Sbarcano in uno dei giorni culmine in cui da una Tunisia post-Ben Ali insieme a molti loro connazionali – circa sei mila in quell’occasione per un flusso migratorio totale di circa ventitremila – hanno “harga” (“bruciato”, in arabo) la frontiera, dopo una notte insonne e scomoda a bordo di gozzo con la prua puntata verso l’Italia. Sono sbarcati con la paura di non farcela in mare e di essere rispediti indietro, con le coperte che non sono bastate, con la fretta di metter piede in quell’Europa tanto sognata e che potrà (ri)metter ordine nelle loro vite prosciugate di qualsiasi ambizione e fiducia nel futuro. Da 23 lunghi anni il loro Paese era tenuto sotto scacco da uno dei tanti sanguinari dittatori africani che hanno dovuto arrendersi alla disperazione e insieme alla forza di popoli stanchi di vivere in un regime di ansia e terrore. Quell’Europa tanto agognata ha un sapore diverso una volta sbarcati, non è come loro se la immaginavano, almeno non dai centri di detenzione e identificazione presso cui immediatamente vengono sistemati per le attività di rito: da Lampedusa a Manduria, passando per la Sicilia. La burocrazia entra a gamba tesa sulle speranze dei nostri, ma anche di tutti gli altri, in attesa dei permessi per spiccare il volo verso un avvenire (forse) migliore. Giorni che si fanno interminabili, frustrazione e rabbia montano, i calzini e i pantaloni stesi ad asciugare si moltiplicano sulle reti metalliche che separano le loro vite da quella libertà che adesso la burocrazia italiana sta mettendo a dura prova.

Le telecamere di Matteo Calore e Stefano Collizzolli immortalano anche questo nel loro I nostri anni migliori, nuovo documentario del collettivo Zalab che da anni è in prima linea per dar voce – attraverso laboratori di video partecipativi con chi normalmente non si esprime attraverso l’audiovisivo – a popoli ai margini, perennemente in rivolta, e che vanta nella sua scuderia un dei più bravi e talentuosi documentaristi italiani, Andrea Segre, che proprio con Zalab ha realizzato nel 2008 lo splendido Come un uomo sulla terra sulla condizione dei migranti etiopi che attraverso al Libia tentavano la strada per l’Italia. Il documentario di Calore e Collizzolli alterna ad interviste dei quattro giovani scelti – sono i loro “gli anni migliori” del titolo – inserti video delle rivolte tunisine, racconti in presa diretta e dichiarazioni dei nostri governanti.

Indagine fortemente sociale e antropologica di ciò che succede a un braccio di mare dal suolo italico? Esigenza di dar voce agli ultimi della terra, che hanno potuto toccare con mano quanto razzismo esista qui da noi anche per bocca dell’onorevole Zaia (“degli immigrati clandestini arrivano sulle nostre coste con telefonini in mano e abiti griffati, vi sembra che scappino dalla miseria e dalla carestia?!”)? Dubbi su cosa andassero a fare e a vedere i leader politici di tutto il mondo ospiti nei 23 anni di regime, da non accorgersi di quello che succedeva? Reportage di denuncia sulla mancanza di organizzazione di un Paese, l’Italia, che da anni si vede al centro di flussi migratori da tutto il mediterraneo? O semplice diritto di esprimere attraverso l’arte una condizione umana, fatta di esseri umani in cerca come tutti di un posto nel mondo? Sono queste le domande che scaturiscono naturalmente dopo la visione di questo bel documentario realizzato con mani sapienti e che fa della semplicità di fruizione la cifra stessa di tutto il narrato.

Non per forza dobbiamo rispondervi, ma di certo dobbiamo interrogarci su cosa la fedele e cieca adesione al potere può fare nelle vite delle persone, avendocela avuto in casa per oltre un ventennio la stessa identica situazione e avendo ben chiare le parole di un giovane poeta tunisino di oltre un secolo fa, Abou el Kacem Chebbi, il quale affermava che “quando il popolo sceglierà la vita, il destino dovrà rispondere, la notte si rischiarerà e si romperanno le catene”.

Autore: Fabio Ernetti
Pubblicato il 15/02/2015

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