I Cormorani

di Fabio Bobbio

L'istantanea di amicizia e libertà di due dodicenni nell’esordio registico del torinese Fabio Bobbio. Disponibile su MUBI Italia.

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I Cormorani, istantanea di amicizia e libertà di due dodicenni, è l’esordio registico del torinese Fabio Bobbio (sua anche sceneggiatura e montaggio) girato tra gli scenari naturali del canavese (in Piemonte) e presentato al festival Vision du Reel 2016. Il film, pedinamento dell’età allo stato selvatico, fuori dalle irregimentazioni di scuola e famiglia, ha riscosso importanti riconoscimenti di settore, fra i quali il premio AGPCI alla miglior produzione per la StraniFilm e la designazione Film della critica (SNCCI) al Maremetraggio Shortsfilmfestival, motivata in conclusione come " ...una nuova via, concreta e suggestiva, per il cinema d’autore italiano contemporaneo".

Un percorso, in verità, quello battuto da Bobbio, che a farci caso, è stato certo spianato da maestri e sperimentato, con le dovute differenze, da altri esordienti-epigoni del decennio, disseminato di archetipi con cui confrontarsi, anziché di cliché. Bobbio inanella una catena di momenti, discontinui accadimenti (di cosa è fatta a dodici anni un’estate spontanea e spensierata?) sbrogliati dallo scorrere lineare del tempo e dalle sue pause, quel farsi capitale di memoria eterna, cui volgerà l’adulto. Mitici sono "i mondi senza tempo" (insegna la psicologia), impero del gioco, sopralluoghi della costruzione del sé e della figurazione dell’alter ego (maschile /femminile) complementare. Qui ancora una volta, con estrema sensibilità, va a scomparire la macchina da presa, come nei topoi della fiaba, attraverso il bosco, il fiume, le corse in bici, il luna park, l’exploit dell’apoteosi musicale.

La punta di un iceberg autoriale, I Cormorani, che a risalire dal magistero di Piavoli e del Bellocchio di Sorelle Mai passa anche da Il Sud è niente di Fabio Mollo e inevitabile, speculare in vetta, incrocia L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin, decisamente più concettuale e maieutico nello scavo dialogico. Se ne L’estate di Giacomo a soggiogare la vista era la fluorescenza del Tagliamento, in Bobbio è il bosco fitto, d’un verde acuto, a farla da padrona, quasi un lampo di sottobosco van goghiano. Qui mimetizzato tra gli alberi e i cespugli è infatti il prologo al cuore del film: scampare la caccia tra bande di ragazzini, i fischi in codice dell’agguato, rito di formazione al coraggio e alla lealtà. L’agguato sotto cui Sam e Matteo alla fine cadono e l’ennesima, forse vana, corsa di fuga, segna il vero accendersi del film in un giocoso western, che tocca l’apice emotivo di benevolenza con cui si guarda alle facezie dei ragazzi.

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La presunta e tacita perdita dell’amico in corsa al proprio fianco, è baratro per il sodalizio fatico amicale, l’esserci, presenza laconica ma carica di complicità. Presenza specchio (stesso taglio di capelli, stesse T-shirt e bermuda slabrate e stinte) priva di specifici intervalli di tempo, perché ogni giorno è il medesimo giorno, fatta salva la sensibilità propriocettiva dello spazio, tripartito tra bosco (dinamismo esplorativo), centro commerciale (stasi alienante) e luna park (simulazione di forze). Comodin circoscrive il passaggio dall’adolescenza all’età adulta (è proprio quell’estate di Giacomo, forse l’ultima prima del crepuscolo del disimpegno e della gratuità degli affetti) Bobbio retrocede il passaggio al sole alto dell’infanzia, quando guadagnata l’autonomia di smarrirsi lontano da casa, l’avventura, anche solo di uno sguardo rubato al proibito, si fa dimensione totalizzante (quante altre estati ancora ne verranno?). Il primo si appresta già alla stagione dei rimpianti, il secondo a fantasticarli sotto capanne di rami e foglie. Il discrimine radicale tra i due film è costituito dalla scoperta del femminile, che in Comodin è già la complessità, insondabilità dell’animo tra pari e la sessualità come ambiguità dei sentimenti, mentre in Bobbio approda appena al misterico di erotismo e scherno di difesa dal desiderio (vedi la scena con la prostituta) tutto consumato nell’abuso della vista e della parola (l’implausibile dirsi delle coetanee "quante volte te la sei fatta?").

Infine, la questione del tradimento dello sguardo in macchina, a suggellarne l’autenticità intima . Anche questa era già nel primo lungometraggio di Comodin (alla vista della bellezza del fiume, Giacomo si ri-volge d’istinto e stupefatto alla camera, a cui per tutto il tragitto aveva dato le spalle) non vi era però alcun indugio registico ad immortalarne la spontaneità, cosa che invece va a marcare Bobbio. Lo scatto d’ali inaspettato di chi spicca il volo.

Autore: Carmen Albergo
Pubblicato il 21/02/2017
Italia 2016
Regia: Fabio Bobbio
Durata: 88 minuti

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