Hybris

Tommaso Arnaldi scrive, produce e interpreta un supernatural thriller dalle immagini ricercate e dalla trama complicata

Forse qualcuno ricorderà ancora Il grande freddo di Lawrence Kasdan, la commedia agrodolce in cui il funerale di un giovane suicida è l’occasione di ritrovo per un gruppo di amici. Era il 1983 e la generazione descritta era quella del Sessantotto. Oggi invece è il 2015 e l’unica generazione plausibile, tenendo a mente lo stesso scarto temporale, è quella delle Bestie Di Satana. E di certo su loro non è auspicabile realizzare una commedia per quanto amara possibile. L’atmosfera più idonea resta l’orrore o, se si vuole essere più sofisticati, parleremo di supernatural thriller. Conservando lo stesso incipit nasce così Hybris di Giuseppe Francesco Maione, un esordiente talmente giovane da fare sentire anziano persino chi scrive.

Per la precisione, hybris non significa ibrido ma insolenza. Se però l’opera prima di Maione fosse un ibrido alla trama di Kasdan si andrebbe a mescolare un altro classico coevo, La casa di Raimi. La combriccola, infatti, riunita dalla morte dell’amico raggiunge un cottage sperduto tra i boschi. Un classico. Ciò che però fa la differenza tra questo e altri epigoni di Evil dead è un’idea semplice ma geniale: una volta che i protagonisti sono entrati nello chalet, porte e finestre spariscono inspiegabilmente bloccandoli all’interno. È il genere di trovata che ogni produttore cerca: un buon motivo per girare il novanta per cento del film in un unico ambiente e possibilmente, come in questo caso, in un teatro di posa. Se poi alla situazione paranormale si aggiunge una metafora dello stato mentale dei protagonisti, al pari de L’angelo sterminatore buñueliano, ben venga. Immagine rimossa. Il problema in realtà è proprio questo: tra i tanti pregi (e ne ha), il film pecca di una trama complicata (che, si badi bene, non è sinonimo di intrigante) dove il senso diventa incerto. Si affastellano elementi, a volte non sviluppati, che inizialmente confondono lo spettatore e dopo un po’ lo perdono completamente. Eppure i dialoghi sono più che buoni, la messa in scena sorprendente, gli attori convincenti. Il film si pregia anche di un’ottima fotografia, di inquadrature ricercate, di movimenti di macchina che ripudiano la camera a mano. Ma qualcosa non va: c’è troppo dialogo e poca azione per un horror, il sangue e la violenza sono sempre tenuti fuori campo, i cliché restano cliché (uno su tutti, l’auto che in apertura sbanda e insinua il dubbio che i protagonisti siano morti e non se ne siano neanche accorti). Inoltre, fin dal prologo, i personaggi sono tutti sgradevoli, cinici, dispettosi, infantili, insomma dei modelli poco encomiabili e per nulla simpatici. Motivo per cui è difficile entrare in empatia con loro nel momento in cui si trovano in pericolo. D’altronde, come si diceva in apertura, loro rappresentano quella generazione dedita al satanismo acido, annoiata e totalmente priva di valori, tanto da far passare per svaghi comuni tra gli adolescenti l’uccidere gatti, il bruciare barboni e il devastare abitazioni altrui.

A firmare sia il soggetto che la sceneggiatura è Tommaso Arnaldi, il quale copre anche i ruoli di produttore con la sua Mirelatives Pictures e d’interprete (aggiudicandosi l’unica scena di sesso del film, come biasimarlo). Il resto del cast è formato da Gugliemo Scilla (il Willwoosh di YouTube), Lorenzo Richelmy (Marco Polo nell’omonima serie Netflix) e Claudia Genolini (già vista nella web serie Freaks!). La troupe, inoltre, è composta quasi esclusivamente da maestranze sotto i trent’anni e, considerando l’alto tasso di disoccupazione giovanile, il dato depone a favore di Hybris. Con l’interessamento della Flavia Entertainment, il film è stato distribuito in sala a partire dal 28 maggio.

Autore: Mattia De Pascali
Pubblicato il 20/07/2015

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