Hunger

Hunger di Steve McQueen racconta gli ultimi giorni di vita di Bobby Sands, attivista politico e repubblicano irlandese, morto il 5 maggio 1981 (a soli 27 anni) nel carcere della prigione conosciuta con il nome di Maze a Long Kesh. I fatti raccontano che gli inglesi avevano abolito la status di prigioniero politico per tutti i crimini commessi dopo il primo marzo 1976, così da poter sottomettere qualsiasi detenuto ad eguali regole carcerarie. Al fine di riottenere quello status i prigionieri facenti parte dell’IRA cominciarono ad attuare lunghe e dolorose proteste contro il governo inglese: dapprincipio, nel 1976, ci fu la “protesta delle coperte”, durante la quale i prigionieri politici, rifiutando d’indossare le normali uniformi, andavano in giro con una semplice coperta. Due anni più tardi cominciò la dirty protest, durante la quale i prigionieri vivevano nell’assoluta sporcizia, rifiutando di lavarsi e spalmando i loro escrementi sulle pareti del carcere e buttando l’urina sotto le porte della cella (protestando per i soprusi attuati dai secondini, i quali picchiavano i detenuti ogni qualvolta questi lasciavano la cella per andare in bagno). Dopo 4 anni di protesta, i detenuti decisero di colpire definitivamente il governo inglese, iniziando, il 27 ottobre 1980, uno sciopero della fame che durò 53 giorni finché i detenuti non decisero di interromperlo dopo che il governo britannico fece delle promesse poi non mantenute. Allora, dopo una successiva e perfetta organizzazione, il primo marzo del 1981 iniziò un secondo sciopero: questa volta lo stesso Sands, divenuto Officer Commanding al posto di Brendan Hughes, iniziò lo sciopero, decidendo che gli altri prigionieri si sarebbero uniti a lui ad intervalli regolari (ogni due settimane), così da mettere alle strette il governo, ampliando fortemente l’impatto mediatico della protesta. Dopo 66 giorni di sciopero e dura resistenza, Sands morì di inedia nell’ospedale del carcere.

Questi i fatti avvenuti ormai trent’anni fa, né più né meno di quello che mostra Steve McQueen in questo suo piccolo capolavoro. La bravura del regista britannico è quella di raccontare una storia forte, potente, facendolo nel modo più asciutto possibile. Lo stile dell’autore è secco: a differenza di film che trattano simili questioni, McQueen non cerca rifugi romanzeschi, non riempie il suo personaggio di facili eroismi dettati dalla commozione, né gli pone addosso un abito aureolato; il Bobby Sands interpretato da Michael Fassbender è il semplice prigioniero politico che rivendica i propri diritti. Né un santo né un eroe, né un demonio, ma un uomo capace addirittura di darsi la morte affinché le proprie idee vengano riconosciute.

La macchina da presa di McQueen è volutamente statica, impassibile e fredda, così come lo sono le mura del carcere, degradate e miserevoli. Il tempo filmico è estremamente lento, in grado di trasmettere allo spettatore quella stessa sensazione di agonia vissuta dal protagonista. Anche in questo si nota la bravura del regista: McQueen non dimentica mai che la storia che sta raccontando, pur essendo un “privato” avvenimento britannico, sarà mostrata al pubblico mondiale; ed allora non lascia nulla al caso, o all’intuito o allo “studio storico” dello spettatore. Pur non realizzando un’opera dal carattere scolastico, l’autore riesce a somministrare allo spettatore dosi di storia vera grazie ad alcune trovate acute (la voce del giornalista alla radio, ad esempio) che hanno il merito di non distogliere mai lo sguardo dello spettatore da ciò che sta accadendo in quel momento sullo schermo, e allo stesso tempo di accompagnarlo tra le ombre della storia, senza mai interrompere la poesia e la delicatezza del film stesso.

Hunger di Steve McQueen è una delle opere più affascinanti venute dal Regno Unito negli ultimi anni; se solo gli autori italiani riuscissero a cogliere la grazia e l’intelligenza che i nuovi registi britannici utilizzano per raccontare storie di oggi e del passato, allora potremmo addirittura parlare di un nuovo Neorealismo. Purtroppo siamo tutti consapevoli della situazione della cinematografia italiana e, amaramente rassegnati (ma non sconfitti), continuiamo ad ammirare piccoli capolavori del genere arrivati (o meglio sarebbe dire non arrivati!) in Italia dal Regno Unito.

Tiocfaidh ár lá, questo il motto del movimento repubblicano irlandese, coniato dallo stesso Sands durante la sua detenzione in carcere. La traduzione dal gaelico è: Verrà il nostro giorno, riferendosi al fatto che l’Irlanda un giorno sarà finalmente e nuovamente unita e libera dalla “dittatura” britannica. Un film come Hunger non può fare altro che aiutare questo motto a diventare realtà.

Autore: Donato Guida
Pubblicato il 01/03/2015

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