Guardiani della galassia Vol. 2

James Gunn alla prova del nove con il blockbuster d'autore.

Guardiani della galassia è stato il simbolo della Fase Due del Marvel Cinematic Universe, il punto apicale di un percorso e di un progetto che in quel momento sembrava non potesse fallire, tanto che qualche mese dopo la Casa delle Idee riuscì a trasformare in un successo di pubblico anche Ant-Man, un film basato su un eroe sconosciuto in grado di rimpicciolirsi e cavalcare formiche che di colpo apparivano giganti. Non esattamente Spiderman. James Gunn è il responsabile principale (assieme al producer in chief Kevin Feige) del successo dei Guardiani, colui che è stato capace di creare un oggetto di culto dal nulla, di prendere alberi senzienti e procioni parlanti e farli diventare gli idoli delle folle grazie soprattutto a un senso dello spettacolo e dell’ironia travolgenti. Gunn, cresciuto con la fantascienza degli anni Ottanta, è un appassionato di cinema e di cultura popolare prima di essere un regista e sceneggiatore, è una sorta di Tarantino 2.0 che finalmente ha i mezzi per poter dipanare tutto il proprio talento e al contempo omaggiare la fantascienza fiabesca di Spielberg (si pensi al rapporto tra Star-Lord e i suoi genitori) e quella avventurosa di Lucas (dal punto di vista formale Guerre stellari è sicuramente il film che ha più influenzato Guardiani della galassia), oltre che portare al cinema la sua viscerale passione per il fumetto.

Se sugli schermi dominano i supereroi, coloro che sono chiamati a crearli e metterli in scena non sono certo da meno. Realizzare il sequel di un film del genere rappresenta probabilmente una missione ancora più ardua rispetto a quella precedentemente affrontata da Gunn, soprattutto se contestualizzata dal punto di vista storico. Oggi infatti il rapporto tra i comic movie e gli spettatori è meno florido di quello di tre anni fa, non tanto per un significativo calo degli incassi (che non c’è stato) quanto per una complessiva sensazione di saturazione che sta rendendo i supereroi e tutto ciò che li riguarda sempre più indigesti, e di conseguenza pubblico e critica sempre meno tolleranti verso film e serie TV che pur posizionandosi su livelli qualitativi dignitosi costituiscono l’ennesima variazione sul tema di un copione ormai un po’ vecchio. Per ogni Legion e Logan ci sono diversi Doctor Strange e Jessica Jones quando va bene, Batman vs. Superman e Iron Fist quando va male.

Guardiani della galassia Vol. 2 è un film incaricato di diversi compiti, nessuno dei quali semplice da portare a termine: ripetere il successo del primo film; trovare un’indipendenza pur nella continuità di questa saga nella saga; dare un senso marcato alla Fase Tre del MCU.

Per quanto riguarda il primo obiettivo va detto che James Gunn arriva al lancio del Vol. 2 con un credito smisurato e mette in piedi una campagna promozionale estremamente azzeccata, sia attraverso gli strumenti istituzionali (poster e teaser) sia spendendosi in prima persona sui social network. Tuttavia il successo del film precedente non può che porre il suo sequel su un campo minato, con critica e pubblico pronti a rimanere delusi, data anche la (tradizionale) idealizzazione che il tempo esercita su qualcosa che si è amato in passato. Per quanto riguarda l’indipendenza del sequel Gunn opta per una storia fortemente connotata dal punto di vista tematico, sviluppando il discorso genitori-figli attraverso un nuovo personaggio, Ego, interpretato dall’icona di ritorno Kurt Russell. Cosa vuol dire però questo film alla luce della Fase Tre? Non c’è dubbio che si tratti di una stagione dove i budget si sono moltiplicati (specie nel caso di questa saga, in cui la forbice si è ampliata più che in altri) ma al contempo è aumentata anche l’importanza dell’autore all’interno dell’ultra oleato sistema produttivo Disney-Marvel e del disegno immaginato da Kevin Feige, vista la necessità di arricchire e diversificare il panorama del comic movie. Non solo Gunn è sceneggiatore e regista del film e ha la possibilità di personalizzarlo sia dal punto di vista estetico che narrativo più che in passato, ma anche dando un’occhiata ai prossimi sembra esserci un trend: Spiederman: Homecoming sarà diretto dal giovane regista indipendente John Watts (autore del sorprendente Clown), Thor: Ragnarock dal geniale autore neozelandese Taika Waititi (What We Do in the Shadows, Hunt for the Wilderpeople) e Black Panther da Ryan Coogler (Creed).

Vol. 2 si assume il compito di diversificare il racconto, di immaginare e percorrere una strada alternativa, optando per una variazione sul tema in grado allo stesso tempo di rimanere fedele al primo film ma anche di proporre qualcosa di diverso. Va precisato che se fosse stato un semplice sequel, una prosecuzione delle vicende precedenti in modo organico e continuo, sarebbe stato forse un film più compatto, ma anche meno originale e sicuramente meno coraggioso. James Gunn invece sceglie una narrazione nettamente character driven – molto più di quanto non lo fosse quella del film precedente – che si disinteressa quasi completamente del plot, o meglio, lo utilizza in maniera quasi esclusivamente strumentale per far muovere i suoi personaggi e mostrare le loro performance.

Sotto questo punto di vista non è un caso che il lavoro migliore venga fatto sui caratteri secondari, in particolare Drax, che grazie all’interpretazione malinconica di Dave Bautista emerge come un personaggio molto più sfaccettato, per il quale la stupidità e l’ironia anticonvenzionale rappresentano soprattutto una forma di difesa, un rifugio dai traumi del passato. La sua interazione con Mantis è forse la cosa più sincera del film, specie perché ritrae una coppia totalmente estranea a qualsiasi stereotipo, costruita in modo imprevedibile e divertente; due figure normali e per questo ancora più eroiche, capaci di non prendersi mai troppo sul serio ma non per questo diventare banali.

Un’altra traiettoria narrativa ben riuscita è quella che lega le due sorelle Gamora e Nebula, il cui rapporto viene finalmente approfondito a dovere dopo gli accenni del primo film. Emerge ancora più chiaramente come il loro essere sorelle e prima ancora donne in un mondo maschile e maschilista abbia innescato una competizione che ha fatto male a entrambe, facendo diventare Gamora sempre più autocentrata e incurante dei sentimenti della sorella, e Nebula sempre più rancorosa e bisognosa di un riscatto pubblico. Stesso discorso per Yondu Udonta, personaggio sviluppato in maniera molto più dettagliata in quest’occasione, dando l’opportunità a Michael Rooker di mettere in scena al meglio le sue straordinarie qualità interpretative. A partire dal suo personaggio Gunn fa un lavoro semi-serio ma sempre intelligente sui villain e sugli anti-eroi che funziona bene anche nel parallelo con Rocket, e termina con un meritato e magniloquente funerale celebrativo.

Realizzare il sequel di Guardiani della galassia però comporta delle scelte non semplici e non tutte le soluzioni funzionano come dovrebbero. Per lavorare in maniera sistematica sulle storyline dei personaggi Gunn decide di esautorare il plot dal suo ruolo dominante – fin qui non ci sarebbe nulla di male – e di realizzare un film meno spiccatamente d’avventura e più legato alle relazioni familiari e sentimentali, ma così facendo finisce per smascherare l’inefficacia di alcuni punti cardine narrativi. Ridotta l’intensità dell’azione il personaggio di Star-Lord viene utilizzato quasi esclusivamente per raccontare il suo rapporto col padre, e per questo rimane inchiodato sul pianeta di Ego. Sebbene Kurt Russell riesca a offrire sempre un’interpretazione degna di nota, il suo personaggio appare un po’ troppo caricaturale e l’intero filo narrativo impostato sul rapporto padre-figlio risulta non solo ridondante ma anche molto prevedibile, specie perché il disvelamento della sua reale identità non è in grado di sorprendere nessuno se non il più distratto degli spettatori.

L’altra nota relativamente dolente è legata al rapporto tra Star-Lord e Gamora, che nel migliore dei casi è una ripetizione pedissequa di dinamiche già presentate nel film precedente. Se l’aliena interpretata da Zoe Saldana funziona benissimo nello sviscerare il rapporto tra sorelle in tutti i suoi incroci con Nebula, è però molto meno efficace in tutto ciò che riguarda la love story con quello che dovrebbe essere il personaggio principale, sia perché il tono del film mal si sposa con questa storyline, sia perché la frammentazione del racconto e la moltiplicazione dei personaggi impediscono alla relazione tra i due di accentrare il racconto.

Non è facile giudicare Guardiani della galassia Vol. 2, perché a differenza del primo non viene dal nulla ma è anticipato da un successo stratosferico e da un’attesa che cambiano decisamente le condizioni, creando un contesto nuovo con cui James Gunn non può evitare di confrontarsi.

Il regista risponde realizzando un film più sfilacciato del primo, perché impegnato a inglobare tutto ciò che ritiene necessario mostrare e tutto ciò che il pubblico desidera vedere, depotenziando così il ruolo della narrazione principale a favore della messa in scena di tutti i principali tormentoni che hanno riempito lo iato tra i due film. La scelta più azzeccata sotto questo punto di vista è senza dubbio quella di Baby Groot, che allo stesso tempo rappresenta il simbolo della viralità del primo film (nessuno dimenticherà mai la sua danza nei titoli di coda) ma anche il tramite con cui Gunn può affrontare una serie di questioni a lui care, come il senso di appartenenza alla famiglia, lo scontro generazionale e l’uso della comicità come strumento per mettere in risalto determinate incomprensioni caratteriali.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 22/05/2017

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