Focus – Niente è come sembra

Sciarada di truffe e inganni, Focus cerca di raccontare il sentimento ma è troppo interessato al glamour della sua confezione per essere convincente

Ogni film di truffe ha inevitabilmente a che fare con la macchina cinema, dispositivo dedito per ontologia alla creazione e moltiplicazione di inganni e illusioni. E’ evidente del resto la fascinazione spettatoriale che da sempre accompagna questo tipo di film, che proprio nel costante svelamento di verità illusorie ha il suo centro di forza. E quando questa casa dei giochi, per dirla alla David Mamet, nasce dalla forgia hollywoodiana con divi in prima fila, il tutto diventa una sorta di meta-rappresentazione goliardica, un gioco a due con lo spettatore che decide di seguire il meccanismo cinematografico non solo all’interno dell’inganno ma nella sua stessa messa in scena. Promessa, svolta e prestigio.

Capita però che un meccanismo simile finisca per girare a vuoto, e invece di assistere ad un Ocean’s Eleven ci si debba accontentare di questo Focus – Niente è come sembra.

Che Glenn Ficarra e John Requa fossero attratti dal mondo dei truffatori era già evidente da Colpo di fulmine – Il mago della truffa, ma se lì il racconto dell’imbroglio era funzionale ad accedere ad una dimensione più drammatica e personale, Focus è un film di pura superficie, esternazione glamour di divismo che a conti fatti si discosta di poco dall’essere una lussuosa scatola con dentro niente. Il cuore del film è l’amore che nasce tra il truffatore di Will Smith e la ladra/allieva impersonata da Margot Robbie, ingannatori di professione che devono cercare per una volta di vivere e gestire qualcosa di sincero.

Ficarra e Requa infatti dedicano come da prassi parte del racconto alla costruzione di truffe elaborate (la scena allo stadio e il finale regalano qualche colpo notevole) ma è evidente come il punto centrale del progetto sia la relazione tra i due divi, il racconto della loro intimità, una focalizzazione che potrebbe spiazzare chi attende una canonica divisione tra i generi ma finisce invece per divorare il resto del film piuttosto che affiancarcisi. Viene in mente Slevin – Patto criminale, in cui truffe e vendette riescono a trovare spazio accanto al crescere di una storia affettiva raccontata anche con molta tenerezza; Focus piuttosto è interessato troppo all’ammiccamento glamour e allo stupore facile, non crea atmosfera perché si accontenta dei luccichii degli orologi e vestiti da moda, lavora sui suoi personaggi ma scivola nel sentimentalismo privo di sincerità. Fa bene a puntare tutto sui suoi due attori (bravi entrambi) ma attorno a loro costruisce poco, anche e soprattutto in relazione a quel sotto-mondo di truffatori la cui presentazione è da sempre un asso nella manica hollywoodiana, e che qui invece finisce per apparire come un compitino svolto a latere in attesa di tornare sulla relazione centrale del film. Ma senza un contesto, o particolari doti di scrittura che lo compensino, lo scambio non paga. Paradossalmente tanto i protagonisti di Focus cercano un modo per amarsi senza finzioni, tanto il film fallisce nel restituire con efficacia questo sentimento.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 05/03/2015

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