Fedele alla linea – Giovanni Lindo Ferretti

Era subentrata la normalità anche nell’estremismo:

tutto quello che succedeva seguiva il conformismo dell’anticonformismo

Giovanni Lindo Ferretti

Ci siamo voluti vedere conformi e Fedeli alla Linea.

Non volevamo mica essere estremi e Fedeli alla Linea.

Ci siamo ritrovati ad essere anticonformisti ma, comunque, sempre Fedeli alla Linea.

Ci sono uomini e biografie difficili da poter definire.

Qualsiasi lettura, analisi o approccio documentaristico/giornalistico risulta essere o troppo fragile o troppo forte. Sono avvicinamenti rischiosi, appartengono alla categoria delle guerre combattute con l’arma sbagliata, come partire con cavallo e spada per affrontare una guerra di bombe e carri armati. Sono quelle porte dove è sempre difficile entrare. Parlare di un documentario su Ferretti può corrispondere ad una di queste grandi uscite di sicurezza rotte. Comunque Fedele alla propria di Linea, una linea semplice e passante da tre punti. Una linea geometrica composta da un pizzico di Tempo ed un’imbevuta di Spazio con il Destino come interruttore pronto a riavvolgerla dopo tre collassi fisici; quella che ci collega dal punto A al punto B, ma che devia al punto C, rompendo la linea di condotta. Una ricerca del punto esterno più lontano da raggiungere ed un ritorno, dalla parte opposta, verso il punto più estremo dal quale siamo partiti. La Fedeltà ad una Linea reatroattiva, una Linea che torna al punto di partenza, una Linea che prima di finire si riunisce in cerchio. Una Linea a ritroso che ci riporta all’inizio, dove muoviamo i nostri primi passi, un ritorno “mitico” all’indietro, un ritorno a casa.

Difatti mitologia ed agiografia sono due sostantivi che ben si accoppiano alla definizione di chi ha reso l’estremo dell’estremo in potenza, divampando in Rosso per tornare a spegnersi nel Bianco (o meglio Verde e Bianco) come il Punker\\Soviet\\Emiliano\\Salvato\\cattolico\\leghista\\ e gran Poeta Giovanni Lindo Ferretti.

Con Fedeltà documentaristica e fedele alla propria Linea espositiva – scorrevole e dialogica, fin troppo ordinata – il documentario di Germano Maccioni – regista e amico di Ferretti - ritrae la “nuova” vita del cantante lungo il crinale appenninico emiliano. Ferretti si racconta in una lunga, e simpatica, intervista che parte dall’inizio, dalle radici cattoliche e contadine, fino alla ribellione alla conformità del collegio, alternando tra questi, aneddoti divertenti quanto inverosimili, tra cui una partecipazione allo Zecchino D’oro ed un “male che vada ne faremo un cantante” a detta della madre superiora. Poi, torna a raccontarci dell’incontro con Zamboni e dell’inizio dei CCCP, ci racconta delle malattie da lui superate e del concetto di “malattia” nella sua vita; per tre volte quasi sommerso dall’eccesso e per tre volte salvato dall’eccessivo eccesso. Maccioni ci mostra l’ultima versione del Ferretti – un artista tre volte vinto ed infine redento – incorniciandone gli interventi nella selvaggia vitalità dei suoi cavalli e nella massiccia altezza della propria terra, soppesando con moderata disinvoltura le risposte diegetiche del Ferretti con del materiale di repertorio inedito, musica ed immagini live con vhs o foto di famiglia, sequenze tratte del viaggio in Mongolia del documentario di Ferrario con scatti dei primi concerti, musica dei CCCP, con il silenzio e la forza dell’appennino racchiusi negli occhi indomabili di un cavallo. Il regista ci incalza in un discorso tutto al presente, lasciando al passato la possibilità di apparire attraverso intervalli extra diegetici, arrivando a proporci anche dei ralenty suggestivi delle immagini nell’arena, dove tempo, natura barbarica e teatro si uniscono nel nuovo progetto del “Teatro equestre”. Il presente, o meglio l’arrivo del Ferretti, è fatto di silenzio, montagne, cavalli e redenzione, mentre al passato è riservata la facoltà di inserto, rimembranza su dispositivo, immagine lontana ed impura ma comunque vissuta dal suo protagonista.

Ferretti e l’altro Ferretti. Uno che parla al presente e uno che si ricorda al passato, dalle origini al delirio. Una partenza ed una fine che si uniscono. L’estremo di partenza dove si annidano i ricordi legati alla pubertà nel piccolo paese emiliano, l’educazione cattolica e ferrea, l’amore per i libri, una voce da zecchino d’oro ed un Ave Maria da cantare di fronte al Mago Zurlì. E l’estremo lontano da se stesso, l’altro Ferretti fatto di sudore e droghe, l’underground anarco-comunista dei CCCP e il ritorno in discesa, passante per le tastiere dei CSI, fino al melodico dei PGR: la fine che è anche l’inizio. Sarebbe inopportuno ripensare a quel pazzo e sfatto che cantava sbronzo A Ja Ljublju SSSR in un palazzetto davanti all’esercito russo in piedi impiegando il riff nell’Inno Sovietico? Adesso sì. L’estremità dell’estremità, si parte da un punto A di nascita e crescita destinata, in futuro, a convogliare nel punto B dell’arrivo e dell’appagatezza, ma finché possiamo, rimaniamo incollati al punto C, quello che decontestualizza il punto A e quello che, peggio, ci fa sentire vivi. La curva si abassa, si descresce nel punto B, decresciamo fisiologicamente nella negazione del punto C. Una parabola agiografica ascendente e discentente di più punti la sua: Nascita, Dottrina, Eresia, Cambiamento, Fine. Una vita da martire ed una voce davvero fedele alla linea estrema di un calvario. Vita affrontata da anticonformista anche di fronte al lauto, obliquo e grigio conformismo, fuggendone sempre ogni contatto diretto, rifuggiandosi piuttosto all’interno di voti imprevedibili, patteggiamenti incredibili e dichiarazioni assai discutibili. Ma la bellezza dell’estremità è tale fin quando a lei riesca di rimanere discutibile. E un personaggio come Ferretti non può non esserlo. Documentario che ci aiuta a capire la svolta, il miracolo e il ritorno alle origini, facendo trapelare un lato originario del cantante che comunque rinfresca, ma non disseta le gole che hanno sostenuto in lui il carattere più anarcoide. Documentario che cerca di contestualizzare nell’ascesa spirituale le critiche più febbrili sul personaggio; ricontestualizzando la radice cattolica e territoriale dell’uomo.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 03/01/2015

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