Chef

A tre anni da Cowboys & Aliens Jon Favreau torna al cinema con uno scarto netto, firmando una commedia gastronomica che si fa apprezzare per scrittura e direzione attoriale

È cosa risaputa ormai, gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una crescita esponenziale di interesse del mondo dello spettacolo nei confronti di tutto ciò che è anche lontanamente legato alla gastronomia. Basta prendere un po’ di coraggio, accendere la tv, addentrarsi nel labirintico esercizio dello zapping e non tarderanno a presentarsi di fronte ai nostri occhi le immagini di sfide indemoniate tra cuochi più o meno professionisti, sfuriate di santoni della ristorazione contro apiranti capocuochi, giudizi di critici sull’operato di baby chef. L’editoria non fa eccezione. Non è raro trovare i severi faccioni dei guru dei fornelli spiattellati su quotidiani e periodici, per non parlare degli scaffali delle librerie. Nonostante questo trend dilagante, il cinema non è sembrato particolarmente interessato all’ascesa divistica di chef, blogger e critici gastronomici. Andando a memoria ricordiamo il film d’animazione Ratatouille (Brad Bird, 2007) e la commedia francese Comme un chef (Daniel Cohen, 2012) con protagonista Jean Reno, poi poco altro. Jon Favreau – mattatore più davanti che dietro la macchina da presa – torna a dirigere un lungometraggio tre anni dopo la tiepida accoglienza riservata a Cowboys & Aliens, e lo fa allontanandosi radicalmente, oltre che dal suo ultimo film, anche dalle opere precedenti. Lascia nel cassetto supereroi e alieni, dismette le atmosfere western e fantascientifiche e si cala nel mondo reale (ma non troppo) della ristorazione californiana o, per meglio dire, del capocuoco di un ristorante di Los Angeles.

Chef racconta la storia di Carl Casper (interpretato dallo stesso Favreau), capocuoco di un noto ristorante losangelino il cui padrone Riva (Dustin Hoffman) è estremamente retrivo ad accettare qualsiasi proposta di rinnovamento proveniente dal suo chef. Dopo la presa di posizione di Riva, Carl è costretto a continuare a preparare lo stesso menù che il locale propone da ormai dieci anni; anche durante la serata più importante: quella in cui ad assaggiare le portate sarà il noto critico gastronomico Ramsey Michel (Oliver Platt). La valutazione di Ramsey Michel sarà pessima e, attraverso social network, la risposta per le rime di Carl non tarderà ad arrivare. Frustrato creativamente dalle imposizioni di Riva e divenuto fenomeno virale nei social network lo chef rimane senza lavoro. Solo grazie all’aiuto della moglie Inez (Sofia Vergara) e dell’ex marito Marvin (Robert Downey Jr.) Carl mette su un’attività in proprio, in completa autonomia creativa: diventa proprietario di un food truck di sandwich cubani. Al suo fianco suo figlio Percy (Emjay Anthony) e l’amico e collega Martin (John Leguizamo).

La commedia messa in piedi da Favreau tira dritta dal primo all’ultimo minuto senza troppi sussulti. Il cerchio narrativo si costruisce tramite sequenze dilatate, in molti casi prolungate da azioni e dialoghi prolissi e ripetitivi pur riuscendo a non sfociare nel ridondante. Pericolo che rischia di presentarsi durante la seconda metà del film, quando l’opera diviene un road movie, ma che viene scongiurato, in parte dalla buona orchestrazione di componente musicale e immagini di viaggio, in parte dall’ottimo lavoro attoriale del cast d’eccezione di cui si dota il regista. Una scelta di attori delineata dalla necessità di giocare sul tema centrale del film: la trasposizione del mondo dello show business cinematografico hollywoodiano, con i suoi divi, i suoi produttori retrogradi, cinici e spietati, i suoi critici, nell’altrettanto spietato e spettacolare universo della ristorazione di lusso. Chef non è certo una stella nel firmamento della grande commedia americana, ma resta tuttavia un film di piacevole visione in cui emergono le buone capacità di scrittura dei dialoghi di Favreau e di lavoro attoriale. Eccessivo a tratti il riferimento sistematico a tutti i social network che il web 2.0 ha creato negli ultimi dieci anni; creativo e al tempo stesso didascalico l’utilizzo di differenti escamotage grafici a corredo dei vari interventi nei social network. Pecca di indolenza strutturale. La costruzione della narrazione sembra essere stata approntata sbrigativamente, puntando maggiormente su un lavoro approfondito su recitazione, dialoghi e immagini di cibo e landscapes. Ma l’opera riesce nell’impresa di non crollare mai, anche quando sembra sul punto di frantumarsi di fronti agli occhi dello spettatore. E tira dritto fino a una conclusione consolatoria e priva di carattere, che sintetizza i limiti dell’opera. Ecco, a questo punto il film crolla. Giusto qualche attimo prima dei titoli di coda.

Autore: Paolo Scire
Pubblicato il 08/08/2014

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