Cercasi amore per la fine del mondo

La fine del mondo è notoriamente uno scenario in grado di suggestionare l’immaginario collettivo come pochi altri, col suo misto irresistibile di epicità, terrore, psicosi collettiva e ovviamente una massiccia dose di fascinazione per l’ignoto. Dal punto di vista filmico l’apocalisse è poi in grado di aprire situazioni di per sé stimolanti: sondare le reazioni emotive e psicologiche che si sprigionano con l’approssimarsi della catastrofe è un’idea di base che il cinema ha affrontato più volte, declinandola in modi diversi a seconda delle finalità del racconto e dei territori cinematografici cui dare corpo e che s’intendeva esplorare. Un vero e proprio fil rouge catastrofico attraversa la storia della settima arte soprattutto (ma non solo) in tempi recenti, ritagliandosi in essa quasi una sorta di autarchico sottogenere, in grado di spaziare dalla fantascienza anni ’70 (Meteor di Ronald Neame è uno dei titoli più esemplificativi del filone) all’action fracassone e con steroidi degli anni ’90 (come non ricordare l’Armageddon di Michael Bay?) per poi approdare ai nostri giorni, in cui l’arcinota e ormai famigerata profezia Maya ha rilanciato il chiacchiericcio intorno alla fine del mondo e il cinema di sicuro non è stato a guardare con le mani in mano, col buon Roland Emmerich che non ci ha risparmiato un letale aggiornamento del disaster movie firmando con largo anticipo sulla data clou il suo personale 2012.

Era giunto però il momento che qualcuno provasse a buttarla finalmente in commedia sentimentale, azzardando un mix sulla carta originale e non sperimentato in precedenza, un incontro curioso tra la follia collettiva degli ultimi strange days della storia dell’umanità e dei toni oscillanti tra il romantico e il divertito. Ecco arrivare dunque Cercasi amore per la fine del mondo, uscito quasi ovunque a ridosso del fatidico 21 Dicembre 2012 ma che da noi approda con discutibile ritardo: al timone l’esordiente Lorene Scafaria, al suo esordio alla regia dopo aver firmato alcune sceneggiature (Nick & Norah – Tutto accadde in una notte) e con alle spalle un discreto background teatrale amatoriale. Un film che a guardarlo dall’esterno odorerebbe di promettente, proprio per l’originale scontro di tonalità e umori cui si alludeva poco sopra. E di fatto la partenza non delude, con un avvio decisamente accattivante: Radio 107.2 trasmette la notizia che l’asteroide denominato Matilda si schianterà sulla Terra entro tre settimane e invita i suoi ascoltatori ad aspettare la catastrofe in compagnia dei classici del rock trasmessi dall’emittente. Dodge (Steve Carrel) ascolta la notiziona non da poco in auto con la moglie che l’ha appena piantato e la sua espressione, prevedibilmente, non potrebbe essere più assente e frastornata.

Ecco dipanarsi allora una serie di situazioni che ammiccano ai contesti basici dei film sulla fine del mondo rovesciandoli quasi in chiave parodica: le strade predate e i cassonetti rovesciati e incendiati, visti con gli occhi spauriti e infantili da uomo di mezz’età sull’orlo del fallimento (uno stereotipo caratteriale e antropologico che Carrel incarna alla perfezione) finiscono col risultare più buffi del solito e ci si illude di avere davanti un film in grado d’ironizzare e di canzonare amabilmente i luoghi ricorrenti dell’apocalisse cinematografica. Peccato però che le belle premesse si sciolgano prestissimo come neve al sole nel momento in cui nel film piomba il personaggio di Keira Knightley, un’irruzione malsana che fa deviare il tutto su una dimensione da commedia romantica propriamente detta ma senza arrivare mai a convincere ed emozionare del tutto.

Non che l’idea di aggiungere anche la romcom alla mistura di generi e atmosfere che il film mette in cantiere già in partenza sia deleteria tout-court, ma è piuttosto il suo sviluppo a destare non poche perplessità. La Penny della Knightley è anzitutto fin troppo stereotipata come personaggio femminile per risultare credibile o per suggerire un’immedesimazione dello spettatore: coi suoi vestitini fatti a maglia, il suo taglio di capelli brutto e ordinario, il suo aplomb un po’ isterico da ragazza perennemente in rotta col fidanzato di turno e consolabile solo con un buon disco d’annata è così imbevuto di luoghi comuni che si finisce col coglierli e vivisezionarli ad uno ad uno nella loro schematicità piuttosto che interessarsi realmente all’emotività di questa giovane donna perfino un po’ grottesca, umorale e col necessario bisogno di uno spinello per addormentarsi. La Knightley prova a riempire malamente la sua Penny col peggio del suo (modesto) bagaglio recitativo e ne viene fuori un’interpretazione irritante, tutta sospiri, smorfie, pianti posticci che fanno rimpiangere la sola, vera grande piagnona hollywoodiana (Natalie Portman) e sconfortanti faccette che sovraccaricano tanto le scene deliberatamente comiche quanto i brevi accenni più drammatici. In virtù di una sorta di attrazione il film prende ben presto un’analoga piega irreale, per di più assai scontata e prevedibile: una sceneggiatura molto alterna e decisamente calante accompagna Dodge e Penny, entrati curiosamente l’uno nella vita dell’altra dopo uno sfogo di lei alla finestra di lui, nel loro paradossale road movie alla vigilia della fine di tutto, tra snodi surreali a profusione: curiosi autisti filosofi, espansivi avventori di un eccentrico bar ben oltre il pecoreccio, occasionale sesso da fine del mondo. Un sovratono che al massimo strappa qualche strampalata ma godibile risata qua e là (geniale l’onomastica del cagnolino che li accompagnerà nel viaggio), ma che di fatto rende il film terribilmente inerte; Carrel si gioca la sua unica carta possibile, quella dell’immalinconito depresso ravvivato da una ragazza più giovane, di sicuro la sua recitazione è tutt’altro che clamorosamente sbagliata e mal diretta come quella della Knightley ed è dunque un peccato che il suo Dogde le sia così clamorosamente in balia. La piega unilaterale e ripetitiva che il film assume si trascina dunque fino alla (prevedibile?) fine tra troppi momenti di stanca e improvvise, rare riaccensioni (l’ultimo notiziario è da piegarsi in due) e la regia non va oltre una mortifera confezione carina che non risparmia una colonna sonora decisamente bella ma che qui suona perfino sprecata e irrimediabilmente leziosa (Scott Walker e la sua Stay with me Baby, ma anche la Dance Hall Days dei Wang Chung).

Un meccanismo di racconto così poco ben oliato e tutto sommato perfino un po’ scollato nelle sue singole parti tanto da compromettere perfino la buona brillantezza di partenza, in fin dei conti niente più che un miraggio. Si arriva alla fine con un sorriso fiaccato e ridotto ormai ai minimi termini, annoiato, apatico e stiracchiato, culminando in un finale perfino suggestivo dal punto di vista sia grafico che emozionale ma ancora una volta vano: melenso da far paura come ogni commedia romantica degna di questo nome, sarebbe stato quasi meraviglioso con delle diverse premesse a monte, per le quali avrebbe potuto benissimo fare da degno apice. Ma posto in conclusione a una storiella così esile e terribilmente indecisa sul sentiero da percorrere e sulle direzioni da imboccare un epilogo del genere risulta perfino fastidioso.

Autore: Davide Eustach…
Pubblicato il 09/10/2014

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