Blue Valentine

L’amore che strappa i capelli è perduto ormai,

non resta che qualche svogliata carezza

e un po’ di tenerezza.

Fabrizio De Andrè, Canzone dell’amore perduto

Quante volte due innamorati, nel fervore dell’inizio di una storia d’amore, diventano ciechi e sordi a qualsiasi finale alternativo che non sia un happy ending? Molte volte, forse troppe. Ci si dimentica che ciò che si dice ora, magari credendoci davvero, non è detto che possa restare tale in futuro; non è una cosa automatica, per far durare le nostre intenzioni bisogna faticare, lottare, spesso sacrificarsi, ma il risultato non può che portare gioia se il fine ne vale davvero la pena.

Dean e Cindy non sono diversi da una normalissima coppia. Si incontrano, si innamorano (per davvero), si sposano, creano una famiglia, si lasciano. La loro stessa parabola sentimentale è riscontrabile nella vita di moltissime persone che in un passato magari neanche troppo lontano, si sono scambiate promesse che ora non sono più in grado di mantenere. Non sempre è colpa dell’amante di turno: semplicemente ci si rende conto che la persona che si è sposata ormai non c’è più, e che al suo posto c’è solo un individuo incapace di scatenare una qualsiasi reazione emotiva nel proprio animo. Dinamiche tutto sommato nella norma. Ma nonostante tale normalità, questo Blue Valentine non può comunque fare a meno di colpire lo spettatore. L’opera del quasi esordiente Derek Cianfrance (autore principalmente di regie televisive) si annida prepotentemente nella mente del fruitore come un seme pronto a germogliare, dando frutti dal sapore di quesiti, elucubrazioni e riflessioni che difficilmente possono trovare una plausibile risposta. Non solo per la più che ottima performance dei due attori protagonisti, Michelle Williams e Ryan Gosling, quel che risalta è la regia stessa, la modalità con la quale Cianfrance ha deciso di narrare questa storia.

Davanti ai nostri occhi, il rapporto di Cindy e Dean si racconta dal suo nascere al suo morire. Attraverso i numerosi flashback appare sempre più evidente la differenza tra il prima e il dopo, tra l’amore che c’era e quello che non c’è più. Vediamo così come il romantico Dean, con la mente piena di pensieri ed idealizzazioni sul vero amore, sia alla ricerca di Cindy, promettente studentessa di medicina incontrata per caso e da subito rimasta nel suo cuore. La trova, la corteggia, la vince, ed infine la sposa. Anni dopo, di questa dolcezza insita nei gesti dei due amanti non resta più traccia. Deciso a ritrovare la bellezza del loro rapporto, dopo aver lasciato la figlia dal nonno, Dean porta Cindy in un motel dove passare una notte d’amore. La stanza scelta per tale scopo ha come nome “La camera del Futuro”, e mai nome fu più indicativo: la loro coppia non avrà futuro, non ci sarà un domani per Dean e Cindy. Nella cibernetica ambientazione della stanza, sotto le luci azzurrognole da atmosfera glaciale, uomo e donna si avvicinano respingendosi, si accettano rifiutandosi. L’uscita da quel motel segnerà la fine della loro fiaba insieme: dividersi è ormai l’unica strada possibile. Cianfrance analizza con lucidità questa disintegrazione di promesse non mantenute e l’ottima resa del suo lavoro è sicuramente supportata dalla perfetta interpretazione dei due protagonisti: la Williams e Gosling appaiono in sintonia e più che adatti nel ruolo di esponenti di questo romanticismo triste. Le loro espressioni e i chiaro-scuri dei loro volti sono analiticamente indagati dalla macchina da presa del regista che si dimostra molto attento alla dimensione fisica e corporale di questa vicenda. Quella raccontata da Cianfrance è la storia di un amore, non dell’amore: anche se le inquadrature dei primi incontri possono far credere il contrario, le immagini dell’addio e della separazione di Dean e Cindy non permettono più di illudersi, portando inevitabilmente all’accettazione di un tale destino. Il risultato è un film fermo e deciso nelle sue intenzioni tanto da non poter non arrivare al cuore di ogni spettatore, portandolo a riflessioni sì amare, ma che lo sono proprio perché percepite come portatrici di una verità spesso innegabile.

Autore: Lucia Mancini
Pubblicato il 18/02/2015

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