Biblioteca GAM / La ricerca che (non) genera mostre

Arti Visive riparte con uno sguardo sulle vicissitudini della Biblioteca d'Arte di Torino

Ogni nuovo inizio impone una scelta. Ogni scelta, cutanea o meno che essa sia, in quanto tale è forse e prima di tutto un atto critico nei confronti del reale; da qualsivoglia prospettiva lo si inquadri – lettura, decifrazione, reinvenzione, riappropriazione, rifiuto e così via – si tratta di un atto tutt’altro che innocente.

La sezione di arti visive non è certo una novità per questi spazi e a questo pezzo competono l’onore e l’onere di re-inaugurarla; una ripartenza dunque in equilibro sulla soglia che separa, o raccorda, continuità e discontinuità: una rinnovata compagnia di tre studiosi e randagi avventori del mondo dell’arte proseguirà nel recensire mostre e manifestazioni di arte contemporanea puntando lo sguardo su quelle deliberatamente ritenute di maggior spessore culturale e artistico; a questi articoli se ne aggiungeranno altri, sciolti dal singolo evento e dedicati a riflessioni di carattere squisitamente teorico, con particolare attenzione a quegli sconfinamenti disciplinari che rendono il panorama attuale così fecondo e meticcio.

Stese le premesse diviene allora necessario rispondere al pressante interrogativo “da cosa cominciare? Quale esibizione o rassegna artistica va recensita per prima?”. La risposta in questo caso è “nessuna” e certo non per sottolineare polemicamente una fantomatica mancanza di mostre di cui valga la pena parlare (fortunatamente non la si avverte), quanto perché l’incresciosa condizione in cui versa la Biblioteca d’Arte della Fondazione Torino Musei risulta, per più di una ragione, difficile da trascurare. Si tratta dunque di una deviazione di rotta in partenza, viziata da questioni personali – la diretta frequentazione della suddetta biblioteca e soprattutto lo status di studentessa di storia dell’arte – e istigata da oggettivo scoramento, al punto da farne argomento del pezzo di apertura.

Proviamo a mettere a fuoco, pur seguendo la vicenda da lontano. La Biblioteca d’Arte della Fondazione, che ha sede nella Galleria di Arte Moderna e Contemporanea di Torino, vanta un patrimonio librario ricchissimo (più di 110000 volumi, come si apprende dal sito, esclusi periodici e materiale audiovisivo) e costituisce una risorsa fondamentale per studiosi e studenti, torinesi e non. Lo scorso aprile l’apertura della biblioteca è passata da 35 ore settimanali a 11, peraltro concentrate nei giorni di venerdì e sabato mattina; una drastica riduzione di orario che a marzo, in forma di solo annuncio, già suscitava scalpore e indignazione. Di tale provvedimento, attuato dal Consiglio Direttivo della stessa Fondazione, si fatica a comprendere il senso: le motivazioni restano infatti avvolte in una grigia cortina di fumo ma, è modesto avviso di chi scrive, la vaghezza dovrebbe connotare le parole del poeta piuttosto che quelle dei gestori di beni pubblici.

Parallelamente un folto gruppo di studenti di storia dell’arte si è attivato dando vita a una civilissima protesta interamente documentata attraverso i social network e un blog: studentiarteto.com. La campagna #SAVEGAM è partita con una rispettosa occupazione degli spazi della biblioteca durante la quale gli studenti, prolungandosi l’orario di apertura, hanno passato la giornata a studiare (!) e si è evoluta coinvolgendo intellettuali e docenti dell’Università di Torino. Questo canto a più voci, felice concrezione di forze, è diventato l’interlocutore scomodo con cui la Presidente della Fondazione è stata chiamata a confrontarsi in una audizione pubblica. Il 29 maggio, davanti alla Commissione Cultura della Città di Torino, studenti e docenti hanno posto domande secche e puntuali, le risposte invece sono state ancora una volta vaghe e insoddisfacenti: Patrizia Asproni non ha chiarito infatti quale programma politico-culturale venga perseguito, ha parlato di ammodernamento della struttura ma senza fare cenno a modalità e tempi, di depositi che versano in cattive condizioni senza dare specificazioni di sorta, infine di un eventuale accorpamento con la biblioteca del Castello di Rivoli. La giornata si è conclusa con i dati e gli aggiornamenti rimandati, come gli alunni più pigri, a settembre. Tuttavia gli studenti di storia dell’arte hanno tenacemente proseguito per la loro strada organizzando per l’8 di giugno una giornata di studi dal tema Biblioteche d’arte. Laboratorio, patrimonio, bene comune; chiamando in causa stimati esponenti del settore hanno avviato una serie di riflessioni a partire dalla radiografia dell’attuale situazione, con l’obiettivo di continuare in futuro a lavorare congiuntamente all’individuazione di possibili soluzioni.

Il provvedimento preso nei confronti della Biblioteca GAM tenta di adulterare la sua vera natura attraverso la sfuggente etichetta di “miglioramento del servizio” e appare invece ai più nient’altro che un taglio, l’ennesimo di spese e risorse, che colpisce tristemente e ancora una volta la cultura, soprattutto quella meno vistosa e chiacchierata. In questo modo si stanno di fatto privando studenti, studiosi e cittadini di uno dei luoghi di ricerca per eccellenza, di crescita culturale e di esercizio del dubbio, la fucina in cui modellare quelle scelte critiche che, tra le altre cose, generano mostre (ragione ulteriore per parlarne in questa sede) e delle quali costituisce una sorta di quarta parete cinematografica. La Fondazione sembra aver dimenticato tutto questo, avendo deciso di consegnare alla città una biblioteca che è sbiadito spettro di se stessa, perseguendo un’idea di ricerca simile a un divertissement da condensare in poche ore o da consumare al parco (proprio in questi giorni è stata proposta The Garden Library, iniziativa stravagante e di dubbia efficacia che prevede la consultazione di alcuni testi della stessa biblioteca nel giardino della GAM). Ci si augura solo che la Fondazione non abbia dimenticato che anche le scelte sono reversibili e non è mai troppo tardi per cambiare direzione.

Autore: Daria Cusano
Pubblicato il 28/06/2015

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