Arianna

Un riuscito esordio alla regia che racconta con delicatezza i turbamenti dell'adolescenza e i confini (a volte) labili dell'identità sessuale

Ogni adolescente porta avanti il proprio percorso di conoscenza del corpo e della sessualità in maniera diversa, alcuni certamente lo fanno con più disagio e impaccio rispetto ad altri; ma per la diciannovenne Arianna le cose sembrano essere complicate non tanto sotto il profilo psicologico ed emotivo quanto su quello pratico. Tanto per cominciare ha un disturbo ormonale che le impedisce di avere le mestruazioni, facendola sentire diversa dalle coetanee e non ancora donna. Del parere dello specialista che la segue, un collega del padre – anche lui medico – la ragazza sembra non fidarsi completamente.

Un piacevole periodo estivo di solitudine e relax nella bella casa sul lago dove ha vissuto da bambina, sarà l’occasione per Arianna di scavare a fondo nel proprio – misterioso - passato, soprattutto mettendo in discussione le “verità” che i genitori le hanno da sempre raccontato rispetto alle sue condizioni fisiche.

Il tema che Carlo Lavagna sceglie di raccontare alla sua opera prima è delicato, ostico, complesso. Ma il tatto e la levità con cui il film si sviluppa fanno di Arianna una prova senz’altro riuscita, complice l’ottima interpretazione della giovane Ondina Quadri, che veste con estrema naturalezza i panni di un’adolescente piena di dubbi, aspettative e curiosità. Fa da cornice a questo racconto intimo la bellezza del Lago di Bolsena con le sue rive ricche di verde, un’oasi e un altrove rispetto alla quotidianità della città (che non vediamo mai) che diviene tale anche nel pensiero, un luogo dove mettere in discussione le certezze di sempre e aprirsi – con necessario dolore, con inevitabile spaesamento - a una nuova conoscenza, di se stessi e dell’altro.

L’approccio registico è piano, diretto, trasparente, volto ad azzerare l’artificio, mosso dalla volontà – si direbbe – di lasciare inalterata tutta la ruvidezza del reale. E tendenzialmente il film raggiunge con agilità gli obiettivi che si prefigge, lasciando trapelare solo qua e là, per brevi momenti, un tocco ancora acerbo nell’amalgamare i vari elementi che lo compongono.

Al netto delle considerazioni di stile, l’opera d’esordio di Lavagna ha inoltre il merito di aprire una serie di questioni di ampia portata, e lo fa in sordina - senza strepiti, con una sofferenza che è tutta interiorizzata, più compressa che esternata – ma non per questo in maniera non incisiva. Attraverso una lente di ingrandimento il regista mette a fuoco una “piccola” vicenda privata che dice molto, moltissimo, su quanto e come l’universo sociale (e politico) influenzi – per usare un eufemismo – il pensiero profondo e il sentire emotivo del singolo, in maniera silente, persuasiva, inarrestabile. Chi decida cosa è “normale” e cosa invece deve essere “normalizzato”? Quale prezzo si è disposti a pagare per adeguare se stessi o le persone amate (e con quale diritto?) alla norma, alla regola, alla maggioranza? Ecco insomma che nella tensione tra la protagonista e i suoi genitori (tensione che viene lasciata per lo più fuori campo, e tuttavia è all’origine dello stato di cose che Arianna vive nel suo presente) si legge, allargando lo sguardo, la tensione tra il singolo e la società. L’equazione è sempre la stessa, immutabile e inevitabilmente amara: da un lato l’individuo che rimarca la propria unicità identitaria, dall’altro la società che pretende di uniformare, livellare, classificare, e nell’irriducibilità della diversità non vede mai una ricchezza ma sempre una minaccia.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 23/01/2016

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