April and the Extraordinary World

Dalla cosmogonia fumettistica di Jacques Tardi, un'ucronìa capace di trasportare lo spettatore in un Europa tra la Belle Epoque e l'incubo.

April and the Extraordinary World è un film che difficilmente non poteva riuscire: tratto dalla cosmogonia fumettistica di Jacques Tardi, autore sacro in madrepatria e diretto da Christian Desmares e Frank Ekinci alla prima regia ma con una lunga carriera di storyboarder per materiale come Tin Tin.

April è una storia capace di trasportare lo spettatore in un Europa tra la Belle Epoque e l’incubo.

Dopo un doloroso e banale didascalico incipit, durante il quale veniamo informati della sparizione dei migliori scienziati della generazione della seconda rivoluzione industriale, ci ritroviamo in una Parigi dove l’Impero di Napoleone III è ormai capace di dominare l’Intero Continente e le civiltà asfissiata dalle macchine a vapore.

Visionario, ma senza sfociare nell’improbabile, il mondo vissuto dallo studio Je Suis Bien Content se ne sta benissimo tra la riproposizione di tematiche che richiamano a Jules Verne ed una strizzatina d’occhio all’animazione orientale.

April ancora bambina assiste alla sparizione dei suoi genitori e del nonno, acuti scienziati dediti allo studio di formule chimiche in grado di rendere gli uomini immortali e gli animali in grado di parlare. Cresce e diviene adulta, assistiamo all’evoluzione alternativa di un’Europa senza petrolio ed elettricità, al fine di adattare lo spettatore ad un Mondo che è simile ma diverso, alternativo ma non troppo. April abita con Darwin, il suo gatto parlante, ed ha un solo scopo: ricomporre la formula miracolosa del nonno Pops (Jean Rochefort) e ritrovare i genitori che, ha scoperto, essere ancora vivi. In mezzo ci sarà tempo per innamorarsi e diventare adulti. Oltre il percorso di formazione l’opera affronta tematiche ben note all’ucronia, speculando su un Europa orfana delle sue menti brillanti. Un mondo migliore? Nì. La Francia di Napoleone V non è l’armaggedon della Germania hitleriana, ma le strade sono deliri di vapori, l’immensa Parigi dà l’impressione di essere una immensa fabbrica in tutto il suo skyline, lo stato di polizia è evidente e la società non ha vissuto nessun tipo di rivoluzione sociale (figurarsi socialista). In una delle scene più sensazionali ed evocative del film, scopriamo che dalla (doppia) torre Eiffel parte il gioiello tecnologico dell’Impero, un treno-funivia che in “comode” 70 ore di viaggio è in grado di arrivare fino a Berlino, e nel quale chi viaggia in terza classe ha il divieto di non rivolgere la parola ai passeggeri più abbienti.

Friedirich Durrenmatt a metà del Novecento scrisse I Fisici, opera teatrale nella quale i migliori scienziati del secolo sono rinchiusi in un centro di cura, psicologicamente a pezzi. Uno di loro scopre l’invenzione delle invenzioni, ma che finisce nelle mani sbagliate. Atto di accusa alle menti brillanti del ventesimo secolo, rei in parte di essere i colpevoli dell’utilizzo malvagio delle loro stesse scoperte, lo scritto di Durrenmatt si può considerare una sicurissima fonte di ispirazione per il film della Je Suis Bien.

Infine, la vena nostalgica del film non può considerarsi solo una caratteristica estetica dell’epica steampunk. Velato, vive il suggerimento, un’ipotesi, al pari di Durrenmatt, sull’inevitabile dannazione che percorre il corpo e l’anima di chi possiede tra le mani la migliore invenzione del secolo, che sia uomo o donna, animale o rettile. La dannazione di non saperla e poterla gestire.

Autore: Diego De Angelis
Pubblicato il 16/05/2016

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