Andron: The Black Labyrinth

Un labirinto allegoria della società odierna, in cui si smarrisce il senso dei personaggi e della storia

Già in tempi mitologici Teseo, quando giunse per lui il momento di addentrarsi nel labirinto del Minotauro, ebbe l’accortezza di ascoltare l’amata Arianna e servirsi del filo donatogli da lei per evitare di smarrirsi in quella che era un’impresa apparentemente al di là delle forze del giovane. Questo è quello a cui è stato chiamato anche lo sceneggiatore regista Francesco Cinquemani: stare attento a curare il filo conduttore della sua opera Andròn: The Black Labyrinth (conosciuto negli USA semplicemente come Andron) ambientata in un oscuro e misterioso labirinto.

Proprio come nel mito greco, in cui un gruppo di ragazzi e ragazze veniva inviato da Atene sull’isola di Creta per essere immolato a favore della grottesca creatura metà uomo metà toro, in Andron assistiamo al sacrificio di un gruppo di persone, cinque uomini e cinque donne, gettato di peso all’interno di una struttura immensa e desolata, l’uscita dalla quale viene celata a chiunque non sia abbastanza capace di sopravvivere. Potrebbe sembrare semplice, ma non lo è: all’interno del labirinto i protagonisti non hanno smarrito solo la via d’uscita, bensì anche la propria identità. Ma non è ancora tutto: in parallelo seguiamo le vicende di chi ha ideato e realizzato il perverso rituale, scoprendo a piccoli passi i meccanismi che dovrebbero guidare le azioni dei prigionieri di quello che si scopre essere un vero e proprio reality show. Uno spettacolo sadico che vede i vincitori godere del proprio trionfo, mentre gli sconfitti devono accettare l’uscita dalla scena della vita.

Risulta evidente l’intenzione di conferire una dimensione epica, nonché distopica alla storia raccontata. Purtroppo però il film ha il grosso difetto di agitare troppo le acque fino al punto di confondere lo spettatore, il quale non riesce a seguire le dinamiche del gioco nonostante i pur generosi momenti di spiegazione. Sotto accusa finisce in primis il montaggio, reo di essere troppo frenetico e addirittura fuori luogo nel suo atto di presentare i vari flashback che riguardano i protagonisti. Una maggiore chiarezza espositiva avrebbe, in questo caso, giovato. Anche perché la sceneggiatura non supporta degnamente l’intelligibilità della vicenda, dal momento che è piena di colpi di scena non richiesti e, soprattutto, non spiegati. Tanto che, purtroppo, al momento del cliffhanger finale che strizza l’occhio ad un seguito ci ritroviamo un po’ demotivati ad aspettarne con ansia la data di uscita.

Immagine rimossa.

Eppure Andron contiene dei momenti in cui riesce a conquistarsi pienamente il coinvolgimento dello spettatore. Merito delle tematiche affrontate che risultano vicine alla nostra realtà odierna: la spettacolarizzazione del dolore e della morte, i poteri forti intenzionati a schiacciare la massa povera e ridotta in schiavitù, l’aspirazione alla libertà a costo della propria vita, l’ipocrisia degli uomini, finanche il gioco d’azzardo rappresentato dalla corsa alle scommesse, l’individualismo e al tempo stesso la spersonalizzazione dell’essere umano di fronte alla società. Diventa affascinante vedere come i personaggi all’interno del labirinto siano delle vere e proprie marionette nella mani dell’uomo che ha organizzato il loro destino, ricoprendo il ruolo di burattinaio che cerca di limitare il libero arbitrio degli esseri a lui assoggettati per provare l’ebbrezza del controllo totale sulla vita sua e su quella degli altri: in ciò si può leggere la sorte della società di oggi che, in balia di governanti egoisti e megalomani, deve riuscire ad essere forte per far valere i propri diritti e sottrarsi al giogo che la spinge in giù verso la rovina.

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Qui la sceneggiatura fa il suo secondo errore, a onor del vero. Ci sono dei momenti in cui i personaggi all’interno del labirinto dovrebbero essere spinti a riflettere per comprendere, quantomeno, il mistero in cui sono stati immersi e riacquistare la coscienza della propria identità e del proprio vissuto; invece questi momenti vengono continuamente sostituiti da scene di azione e combattimenti che si ripetono pressoché nel medesimo modo. Nel labirinto di Andron i personaggi vengono così veramente sacrificati come se fossero davanti al Minotauro, destinati a perire senza riuscire a donare una dimensione più sfaccettata del loro ruolo all’interno del film. Il che è un peccato, poiché spesso è nelle situazioni di smarrimento dell’individuo, come può essere quello all’interno di un luogo senza uscita, che trova terreno fecondo l’approfondimento dei personaggi di una storia. In questo modo il film fallisce una delle priorità: permettere allo spettatore di entrare in empatia con i protagonisti, che ironicamente nei titoli di coda presentano tutti un nome proprio nonostante non se ne faccia menzione per tutta la durata della storia. Da questo punto di vista sono trattati in maniera più adeguata i personaggi all’esterno del labirinto, il burattinaio Adam e il cancelliere Gordon su tutti: qui il merito va soprattutto alle interpretazioni, rispettivamente, di Alec Baldwin e Danny Glover, ma all’interno del dedalo una menzione d’onore va anche a Michelle Ryan; più sottotono l’esordio della cantante Skin come attrice. Indubbiamente alla produzione bisogna riconoscere la capacità di riunire un cast d’eccezione e di respiro internazionale.

Sotto il profilo squisitamente tecnico dobbiamo segnalare: una fotografia molto buona; delle scenografie all’inizio d’impatto ma poi sempre più povere e ripetitive; una colonna sonora che riesce da sola ad aggiungere peso specifico al film, soprattutto in alcuni momenti veramente coinvolgenti. Cinquemani con Andron si è addentrato nel labirinto e ha ucciso il Minotauro, purtroppo ha però dimenticato di srotolare il filo per ritrovare la strada del ritorno e la sua opera risulta così riuscita per metà.

Autore: Alessandro Rovito
Pubblicato il 20/11/2017

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