American Anarchist

Ovvero di come William Powell imparò a non preoccuparsi e ad amare la bomba

Dopo Finding Vivian Maier (in anteprima al Toronto Film Festival nel 2013), il produttore statunitense Charlie Siskel presenta fuori concorso il suo secondo documentario da regista, American Anarchist. Il film è interamente costruito su una lunga intervista a William Powell, ex-attivista anarchico americano e autore nel 1971, ad appena 19 anni, del libro di culto The Anarchist Cookbook. Manifesto ideologico dell’anarchismo americano degli anni settanta, il libro di Powell è per lo più un manuale su come costruire bombe ed esplosivi fatti in casa. Al suo interno, infatti, vengono proposte dall’autore una serie di “ricette” pensate per gli attivisti di tutto il mondo con smanie dinamitarde: da come fabbricare artigianalmente napalm e bombe carta a come trasformare un fucile in un lancia granate, fino a diventare un vero e proprio compendio delle principali tecniche di guerriglia e sabotaggio da esercitare contro il potere. Un libro pensato specificamente per gli anarchici, decisamente «più responsabili e consapevoli» di altri militanti radicali nell’utilizzo di materiale esplosivo.

L’intervista di Siskel a Powell – alla quale vengono alternate immagini di archivio e filmati familiari in modo unicamente illustrativo e molto poco consapevole – ruota attorno a una domanda fondamentale: perché, nonostante la stagione dei movimenti sia ormai volta al termine, The Anarchist Cookbook risulta ancora oggi tra i libri più comprati in tutto il mondo? Nonostante le precise e deliberate intenzioni politiche dell’autore di scrivere un libro per fornire agli attivisti anarchici americani gli stessi strumenti di controllo già in mano alle élites politiche e militari, il libro ha venduto oltre due milioni di copie in tutto il mondo, scavalcando sia i confini nazionali che i propositi iniziali di Powell. Nel corso degli anni, infatti, il libro è stato più volte associato dai media a una serie di iniziative violente, per lo più a sfondo terroristico, che hanno visto la morte di centinaia di persone. Si tratta di stragi piuttosto note: a partire dal massacro della Columbine High School – oggetto del celebre documentario di Michael Moore Bowling a Columbine (2002), che Siskel stesso ha prodotto – passando per altri attentati e sparatorie che hanno sconvolto gli Stati Uniti nel corso degli ultimi vent’anni, quasi nessuno di questi eventi risulta però del tutto associabile a matrici ideologiche a sfondo anarchico. L’attentatore che possiede nella libreria di casa propria una copia di The Anarchist Cookbook, che probabilmente ha ispirato la sua azione – ma non necessariamente la costruzione di esplosivi artificiali, che quasi mai vengono utilizzati in questi casi – è diventato una specie di topos giornalistico ricorrente.

Sulla presunta responsabilità indiretta di Powell in questi attentati Siskel dimostra di indugiare fin troppo, tanto da destabilizzare e infastidire lo stesso intervistato. «Ho l’impressione che lei mi stia provocando, che voglia farmi dire cose che non penso, presumendo che io mi senta in qualche modo responsabile di queste stragi», osserva lucido Powell, che sembra riflettere per la prima volta sulle supposte conseguenze storiche del suo libro. Ciò che Siskel, invece, dimostra di tralasciare è proprio questa assenza di una chiara dimensione politica nelle azioni sopra citate, che è di contro manifesta nelle pagine del volume – alcuni passaggi ci vengono letti, all’inizio, dallo stesso autore (che afferma di non aver più voluto rileggere il libro da allora). L’impressione è che il regista voglia farci empatizzare più con il suo punto di vista piuttosto che con quello del protagonista, che non viene mai svelato fino in fondo. Nelle domande poste a Powell non sembra esserci alcuna volontà di capire le intenzioni politiche con cui libro era stato scritto negli anni settanta ma, piuttosto, di ridurre il tutto ai problemi giovanili dell’autore, la cui rabbia interna fu incanalata, secondo questa visione assai poco convincente, nella pubblicazione del libro.

Oggi Powell si è convertito al cristianesimo anglicano, vive con la moglie a Massat, un piccolo paese sui Pirenei francesi, e lavora in scuole di recupero per bambini e adolescenti che manifestano disturbi dell’apprendimento e radicalizzazioni comportamentali che, spesso, sfociano in esternazioni di rabbia interiore. L’analogia è anche troppo pretestuosa: è la stessa matrice rabbiosa che avrebbe portato ai massacri americani degli anni recenti e, ancora prima, l’autore a scrivere il libro negli anni settanta? In virtù di questa riduzione interpretativa, ci chiediamo dove siano finite quella presa di coscienza politica (appena accennnata) della violenta conflittualità sociale che rispose dal basso alle politiche reazionarie di Richard Nixon e quella teoria anarchica che ha tanto ispirato sia la formazione politica di Powell, sia la stesura degli stralci teorici del libro. La forte ideologia alla base delle teorie che nel volume accompagnano le “ricette” non sembra emergere mai nel film di Siskel, che si dimostra più interessato, ad esempio, alle enormi difficoltà riscontrate da Powell nel trovare un lavoro a causa del suo volume del 1971. Il regista chiede ripetutamente se l’autore abbia mai provato, in qualche modo, a fermare la pubblicazione del libro. Powell, di contro, manifesta un’ingenua inconsapevolezza di fronte alla trasformazione del suo manuale di guerriglia anarchica in una controversia pubblica e giudiziaria, successivamente alla quale ammette di aver comprato una pistola «per sentirsi più sicuro». Dietro ci fu certamente un’operazione editoriale, orchestrata ad arte dal suo editore Lyle Stuart, che pochi anni dopo rilevò da lui stesso i diritti d’autore del volume. «Pensavo che il libro si sarebbe estinto per morte naturale», ripete più volte Powell durante il film, «e non che mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, come uno scheletro fuori dall’armadio», senza aver più il potere di intervenire sulla sua vita editoriale.

Con l’obiettivo di mettere ripetutamente in imbarazzo l’autore per le sue presunte responsabilità indirette in attività che lui non ha mai compiuto, Siskel finisce per ridurre la complessa storia politica di Powell di fronte una serie di facili dubbi morali fin troppo schiacciati sul presente. Di riflesso, le principali controversie etiche sorgono, piuttosto, di fronte alla sua stessa modalità di condurre l’intervista e voler porre a tutti i costi domande “scomode”. Quello che resta di American Anarchist è una precisa volontà di sganciare l’esperienza anarchica dalle scelte di Powell, così come tentare di attualizzare il dibattito sul terrorismo internazionale utilizzando categorie fallaci e del tutto prive di contesto. La vita parallela di The Anarchist Cookbook continuerà, invece, oltre la morte di Powell, avvenuta improvvisamente nel luglio 2016, attraverso decine di video su Youtube di utenti che producono per gioco esplosioni spettacolari grazie a dispositivi artigianali costruiti con un manuale di guerriglia, scritto quarantacinque anni fa da un giovane anarchico americano con il mito di Gavrilo Princip, che in tutta la sua vita non ha mai ucciso nessuno (e nemmeno realizzato una bomba).

Autore: Damiano Garofalo
Pubblicato il 03/09/2016

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