Alcool

Mizaru, Kikazaru e Iwazaru: le tre scimmie sagge a difesa di un muro di gomma, per una réclame nazionale

Simbolicamente, Mizaru, Kikazaru e Iwazaru, sono le tre scimmie sagge, rappresentate in una cornice di legno nel santuario di Toshogu a Nikko, icone di avvisaglie morali attraverso le quali far riflettere l’uomo sulla propria condizione etica e civile, societaria. Scimmia che non vede il male, scimmia che non sente il male, scimmia che non parla del male. Figure rettificanti ma travisate, nei Paesi occidentali, per simboleggiare l’omertà e il tabù. E’ proprio questo muro di gomma, taciuto, nascosto, silenziato, laterale, meschino, sordo, cieco e muto che Augusto Tretti, nelle sue tre opere audiovisive (volendo volutamente tralasciare il suo ultimo mediometraggio Mediatori e Carrozze), ha sentito il bisogno di sbeffeggiare causticamente, sagacemente, coraggiosamente e genialmente. L’averci provato, ma soprattutto l’esserci pienamente riuscito, ha creato un vuoto intorno alla possibilità di produzione di altri progetti dell’autore, un vuoto che ad oggi come ieri, continuiamo a sentire la pesantezza dello spazio non sazio. Un vuoto d’aria denso e pesante come un silenzio stretto tra i denti, che si sarebbe potuto riempire di ulteriori opere, oramai taciute, non realizzate. Morte. Perché prendere come termine di paragone le tre scimmie? Perché mai come in loro si riesce a sintetizzare un concetto alto esponendolo ad un pubblico vasto ed eterogeneo, sia nello spazio che nel tempo. Perché anche il cinema dello stesso Tretti è un cinema che riesce a sintetizzare in simbolismi caricaturali un’intera geografia umana, stigmatizzando e schematizzando l’ideale di una classe, prima umana e poi sociale, che c’ha governato, che ci governa e che ci governerà. Infrangere i tabù non crea amici, ma malumori. Per infrangere i tabù ci vuole coraggio o incoscienza o libertà e Tretti è un regista che possiede queste qualità. Il potere che non ascolta, dove le tre fiere minacciano l’entrata nell’élite come nel paesaggio dantesco. L’industria e le sue mire espansionistiche (militaresche!) su logiche ghettizzanti, la legge di una tromba sfiatata, che non emette suono, che non parla. Oppure l’incapacità di vedere i disegni delle reclame, dell’oppio per l’insoddisfazione, personale o di classe, come accade agli alcolisti di Alcool.

Primo film prodotto unicamente da un ente regionale, l’Amministrazione Provinciale di Milano, che nel 1980 era capeggiata da una donna democratica di sinistra; film questo nato con uno scopo didattico che si poneva contro le insidie celate dal consumo di alcool in Italia. Impensabile che un regista come Tretti, che era lontano dai set da otto anni, non volesse aggiungere parte della sua caustica invettiva all’interno di una produzione locale, statalizzata, più simile alle Pubblicità Progresso come fine che non alla libera iniziativa artistica del suo autore. All’interno di una cornice intellettuale, per certi versi atemporale, quasi divinamente oggettiva, composta da quattro dottori che discutono sulle pericolosità dell’uso, prima, e dell’abuso, dopo l’assuefazione derivante da un uso "ricreativo" e compensatore della solitudine societaria nella quale è introdotto l’individuo - senza distinzioni di sesso, razza, classe o religione – Tretti racconta uno spaccato trasversale che non risparmia nessuna microstruttura societaria, nessuno ne esce incolume dall’uso, legalizzato statalmente, dall’alcool. A maggior ragione se messo in comparazione con altri tipi di droghe, leggere o pesanti, che venivano – e tuttora vengono – proibite. Nel fuoricampo delle storie che vengono raccontate sembra sempre presente un tacito accordo tra ciò che è lecito e ciò che non è lecito, con lo Stato come giudice unico a soppesarne i benefici o malefici di entrambi i piatti. E’ la società contemporanea – parliamo del 1980 ma il discorso lo si può tranquillamente estendere fino a i giorni nostri, immaginiamo un lavoro simile sul gioco d’azzardo legalizzato – che crea disagio e solitudini, palati da circuire con le réclame e sete da dissetare con dell’alcool. «Nell’Italia del Nord i ricoverati in ospedali psichiatrici per causa dell’alcol sfiorano il 50 per cento. Eppure, si continua a parlare di droga e ad ignorare quasi l’alcolismo che è la droga più diffusa e letale. […] L’alcolismo è un fenomeno terribile, che non appare nelle statistiche nella sua reale dimensione, e le sue vittime appartengono tutte, tranne qualche eccezione, alle classi subalterne; è gente che non è legittimata a superare nulla, che dalla vita non ha soddisfazioni e che dal futuro non può aspettarsi un’esistenza che lo riscatti. In questo senso il mio è un film politico, perché informa, senza ricorrere a una qualsiasi ideologia che ridurrebbe il problema, che anche questa piaga sta nel conto del rapporto di forza fra chi ha il potere e chi non l’ha, fra chi usa lo droga e chi, invece, ne viene usato».1

Le finalità educative ed informative si traduco in Tretti in politica. Una politica però ben lontana, come ammissione delle stesso regista, dall’ideologia. Da qualsivoglia ideologia, né di destra, né di sinistra tantoméno centrista. Una ideologia che sminuirebbe il fenomeno, che sposterebbe l’ago dell’inchiesta e della statistica verso fini precostituiti e non verso dati oggettivi. Ma nonostante questo, Alcool rifugge lo stile algido del film-d’inchiesta, rifugge anche la réclame, e la brevità di forte impatto della Pubblicità Progresso. Alcool è un film trettiano in tutto e per tutto. Se non per l’epifania dell’idea originale almeno lo è per il fine e per il metodo. Uno sguardo sulfureo, grottescamente schietto, inflessibile e libero, mai taciuto per onesta volontà del suo autore, casomai perennemente tacciato ed allontanato. Un anarchico per sua stessa ammissione, «le sue bombe scoppiano con un enorme rispetto della vita umana, ma non a vuoto», come lo definiva Flaiano che in un articolo sintetizzava il suo dono con queste parole: «Il dono di Tretti è una semplicità che non si copia, presupponendo la superba innocenza dell’eremita». Affinché di Tretti se ne parli, lo si conosca, e nella speranza che qualcuno abbia, ancora, la libertà di ascoltarlo.

1 Augusto Tretti, Corriere d’informazione, 22 Marzo 1980 – Fonte tratta da Rapporto Confidenziale.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 11/06/2016

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