300: l’alba di un impero

A volte esiste un dogma invisibile che deve essere conosciuto e rispettato: Non fate il sequel di quel film. Tante volte, però, è talmente tanto invisibile e impercettibile da essere scavalcato da alcune grandi produzioni, e si finisce per fare un prodotto buono, ma che risulta essere la brutta ed esasperata copia del capitolo precedente. E’ il caso di 300: l’alba di un impero, successore del tanto ben riuscito film del 2007. Tante cose nuove, a livello registico e anche di sceneggiatura. Noam Murro non riesce a sviscerare dalla trama le stesse emozioni che Zack Snyder 7 anni fa aveva suscitato. Forse perché con lo scorso capitolo si era già visto tutto, era talmente bello ed innovativo, strabiliante agli occhi che non doveva essere toccato, da un qualunque lato. Rimangono i colori, con il rosso sangue a farla da padrone, tra le rocce marroni ed un mare a tratti profondamente grigio, questa volta gran protagonista. Non ci si limita a guardarlo dall’alto di un rupe, ma lo si vive in maniera molto più profonda. Si viene a conoscenza di quelle imbarcazioni che nel 2007 si era potuto vederle solo da lontano, dagli occhi di quei 300 spartani che ora fanno solo da controfigure. Esatto, perché il titolo dice 300, ma di quei soldati non vi è nemmeno l’ombra (quasi). Il numero è rimasto per collegamenti prettamente commerciali, per richiamare il pubblico allo spettacolo precedente, e quindi portarlo al cinema.

A livello temporale si viaggia parallelamente, facendosi superare e superando talvolta le vicende spartane, con il generale greco Temistocle – un ingessato Sullivan Stapleton – impegnato nell’Egeo contro la cattivissima Artemisia. Eva Green, che interpreta la guerriera greco-persiana, è l’unica figura a risaltare tra tanta normalità. Riesce a guadagnarsi uno spazio di rilievo grazie a quello sguardo da psicotica e repressa che già si era potuto intravedere in Dark Shadows. Tante cose mancano rispetto al capitolo di 7 anni fa, ma una su tutte balza all’occhio, alle orecchie e al cuore degli spettatori: manca l’eroismo, manca il carattere spartano e quella spavalderia che di fatto faceva “balzare in piedi” il pubblico, accompagnata da frasi epiche difficilmente dimenticabili. Temistocle non è Leonida, lo si vede fin da subito, e quello che dice e che dicono i suoi non è paragonabile alla ridondanza delle parole spartane. Lo spettacolo visivo rimane, con bordate di sangue ed acqua a ricoprire spesso parte dello schermo, tanta velocità e poco ordine. Meglio non approfondire alcun discorso sul 3D, ancora una volta dimostratosi un fallimento. Regna il caos, i greci non hanno la rigida disciplina spartana in battaglia e la conseguenza è che le battaglie assomiglieranno a grandi risse semi piratesche sui ponti dei triremi greci e sulle imbarcazioni persiane. La quantità di morte e la presenza di sangue aumentano a dismisura, rendendo quest’ultima quasi stucchevole.

Per quanto riguarda la narrazione, invece, nota di merito: gli autori si destreggiano egregiamente tra i tre tempi; riescono a guardare al passato tramite gli occhi e le voci dei protagonisti, e il futuro viene spesso esplorato con molta discrezione. In più, molti raccordi vengono fatti poggiandosi su elementi del film precedente, senza mai staccarsi dalla corda che tiene legata la trama attuale. Riassumendo, 300: l’alba di un impero risulta essere un prodotto di copiatura esasperata del precedente 300 e forse le colpe non sono solo da attribuire al regista o agli sceneggiatori, ma più che altro alla produzione stessa. Bisognava essere consapevoli del fatto che il film del 2007 era tanto “nuovo” e inedito, a livello visivo e linguistico, che forse non serviva e non si doveva farne un sequel. Purtroppo, come spesso ormai accade, il richiamo dei soldi è più forte di quello della dignità di una pellicola e una saga parzialmente rovinate.

Autore: Jacopo Trevisani
Pubblicato il 17/08/2014

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