PAC / JING SHEN. L’atto della pittura nella Cina contemporanea
«L’inchiostro è liquido e così è il tempo». Ultimi giorni per vedere la nuova arte cinese a Milano
In Cina scrivere è come dipingere. Invertendo le parti, il risultato non cambia.
Su questa equazione si basa Jing Shen. L’atto della pittura nella Cina contemporanea, visitabile presso il PAC ancora per pochi giorni; una mostra che è la storia di un linguaggio pittorico assolutamente peculiare, che trova nell’inchiostro (e nella tradizione calligrafica) il suo mezzo d’elezione. Una storia che ci viene raccontata grazie alle opere di venti artisti, attraverso l’arco temporale di tre diverse generazioni.
Jing Shen è una di quelle parole che alle nostre orecchie occidentali assume il fascino seducente di una parola magica. A ben guardare, lo è. In base a come viene pronunciata, infatti, assume due sfumature di significato: è il livello di coscienza e di presenza dello spirito prima di un’azione e, al tempo stesso, è l’esserci, l’essere vitali. Jing Shen indica una forza interiore, quella forza che serve all’artista per dipingere (e scrivere).
Raccontare il gesto dunque, l’atto stesso della pittura. Obiettivo chiarito fin dall’ingresso: lo sguardo del visitatore viene immediatamente catturato dall’enorme opera di Liao Guohe, Money Cloud Crowd (2015). Nelle sue opere, Guohe riprende la tradizionale e nobile arte della shufa (le leggi dello scrivere) per rappresentare alcuni chengyu, i detti popolari; ma il piglio è ribelle, il tratto mal steso e cruento.
Nell’opera in mostra al PAC, cruento va inteso nel vero senso della parola: non più inchiostro, ma sangue di pollo rappreso, per esemplificare un tremendo ammonimento, «tagliare la testa ad un pollo per controllare l’intero pollaio».
Non solo tele, ma anche installazioni, sculture, video performances e opere digitali (raccolte per lo più al piano superiore, felicemente descritto dai curatori come un vero e proprio tubo catodico). La sintesi perfetta di queste diverse espressioni è certo rappresentata dalle opere di animazione ad inchiostro su carta di riso (Ink History, 2010, e Ink City, 2005) di Chen Shaoxiong, rese incantevoli dal contrasto tra i rumori della città e la pallida delicatezza dell’inchiostro annacquato.
Il piano terra riserva altre sorprese: certamente il site-specific di Zhang Enli, un ambiente tridimensionale interamente affrescato con pennellate rapide ed astratte, i cui colori naturali e terrigni ci riportano però in una dimensione rassicurante, dandoci la sensazione di entrare in un bosco scomposto ma stranamente familiare.
L’intenzione non è certo quella di descrivere ogni singola opera, quanto piuttosto quella di di far leva sulla curiosità per un linguaggio artistico che per molti aspetti conosciamo troppo poco. Proprio questa ignoranza per un mondo che per tanti aspetti percepiamo come estraneo ci proietta verso la parte più interna del piano terra, legata allo spazio naturale del parco che circonda il Padiglione di Arte Contemporanea. Qui sono ospitate le dettagliatissime mappe di Qiu Zhijie, che mostrano una profonda conoscenza della tradizione culturale e filosofica occidentale, del nostro mondo.
L’ignoranza, dunque, usando le parole del co-curatore Davide Quadrio, non è più una possibile alternativa, in nessuna direzione di sguardo.
Per quanto la mostra possa sembrare di primo acchito ostica, fatta esclusivamente per un pubblico di specialisti, i curatori sono riusciti nello straordinario compito di renderla leggera, nel senso migliore del termine. L’allestimento è di una grazia semplice e delicata, l’occhio non è mai stanco: chiunque ne potrà uscire arricchito, mai appesantito. Un’altra problematicità, che avrebbe potuto compromettere l’esito della mostra, è stata affrontata e superata con successo dai curatori: in nessun momento si invita lo spettatore a giudicare ciò che ha davanti attraverso criteri predeterminati, guidandolo piuttosto alla continua scoperta di un linguaggio altro. La volontà dei curatori è mostrare infatti come l’arte contemporanea cinese non rappresenti una mera filiazione della controparte occidentale. Questo luogo tanto comune quanto falso è brillantemente scardinato: piuttosto, le radici (e la straordinaria ricchezza) della nuova arte cinese sono da ricercarsi nell’arte classica connazionale, resa ancora fruttuosa da un inaspettato dialogo che intercorre tra Cina e altri mondi e linguaggi.