Loro

Ecce Berlusconi: lo sgargiante completo (tele)visivo di una mostruosità potente, seduta sulle macerie di un’Italia in rovina.

loro recensione film

«Nessuno sforzo intellettuale è richiesto agli amatori dei films – ciò che è proprio dell’adulto, l’intelligenza, è messo dapparte. Tutti i divertimenti oggi popolari son più visivi che spirituali, dunque infantili. Una delle passioni del fanciullo che giuoca è la gara: essere il primo! Gli uomini, ai nostri giorni, hanno introdotto questa manìa fanciullesca in tutte le cose: nelle più insignificanti come nelle più gravi. Battere un record è oggi l’ideale di tutti – quello degli antichi era la saggezza, la pace, la rinunzia.»

Gog - Giovanni Papini

Se l’ira di Dio è distruttiva, cataclismatica, il suo perdono è universale. Per il credente Dio è la scelta, per Paolo Sorrentino Dio può celare il volto ed il pube sotto a due asciugamani distinti, lasciando al suo figlio/a il libero arbitrio di scegliere quale parte di Lui accogliere.

Nel frattempo il suo complementare antagonista non paga ma seduce, non si mostra ma si traveste, dapprima imbonitore, poi cantante, comico, costruttore, venditore, odalisca, è esso stesso tre volte grande, trismegisto, è Trinità inversa: è padre (del suo elettorato), è figlio (del Potere da altri foscamente conferitogli), è Spirito Santo (nel soffio ingerente di un alito senile ed indebito). Una divinità alla rovescia, un santo peccatore, l’uomo qualunque fattosi caimano. Nello zoo di Villa Certosa è le(n)one, è clown Bianco e Augusto, domatore sociale di saltimbanchi, nani, cantanti melodici, politici, senatori, ruffiani e prostitute, è il dispensiere di panem et circenses che riversa nei suoi canali commerciali a discapito di una cultura intelligente.

E’ colui che è arrivato primo, è Lui. E chi sono Loro? Mascheroni che vogliono apparire, per essere se non primi almeno tra i prescelti, a cui basta essere nella foto del podio, saltare sul carro e ritrovarsi a stare dalla parte del vincitore. Nelle relazioni sociali c’è sempre bisogno di un asociale che alza muri invisibili che possono vedere solo Lui e l’Altro. Divinità annoiata, mai sazia, come il Goggins di Papini, capace di volgere il vero al falso e viceversa, che vuole tutto, ma a cui il tutto non basta, una piovra seduta all’indiana sull’Italia, la Bestia che mentre ti sorride riesce a convincerti della necessità del vuoto da lui trasmesso e prodotto. Lui è colui che capisce e comprende, Lui è colui che sa come farti ridere, che sa come convincerti a portarti dalla sua parte; Lui è un mostro mitologico per metà mezz’uomo e per metà ominicchio ( che sono come i bambini che si credono grandi, Sciascia docet) desiderabile e desideroso, sessualmente attivo. Lui è a capo di Loro che per trent’anni hanno creato realtà parallele, puramente visive, sogni ad aria condizionata per un popolo oramai imbonito.

Immagine rimossa.Immagine rimossa.

Se prendessimo, attraverso un audace parallelismo, l’ultima scena de Il caimano di Moretti e la confrontassimo specularmente con il lento carrello di spalle di Sorrentino (foto), capiremmo la diversa prospettiva che i due registi vogliono dare di Berlusconi.

Nella prima, Moretti guarda dritto in faccia il politico dimostrandone – con genio, coraggio, onestà e sarcasmo – la corruzione indotta in un intero paese inebetito, che attraverso un gesto anarchico, consumato nella sfocata profondità di campo oltre al lunotto posteriore, condanna la giustizia. Sorrentino, invece, vuole rappresentare l’uomo che è alla base del politico. Non sceglie di fronteggiarlo ma lo circuisce alle spalle, proponendolo come una sagoma oscura che osserva la messa in scena del suo stesso spettacolo che per anni ha propinato al suo pubblico mentre, nella sfocata profondità di campo, ci viene mostrata la sintesi dell’Italia plastificata e svestita, che per trent’anni ha voluto far passare per vera. Una realtà preconfezionata, basica negli istinti, lucente, glitterata, falsa e sintetica. Non appartiene a Sorrentino il metodo morettiano, non appartiene a Sorrentino il metodo moreschiano (che rappresenta Berlusconi attraverso il berlusconesimo di provincia – tanto reale quanto agghiacciante), non appartiene a Sorrentino il metodo d’inchiesta guzzantiano; Sorrentino affronta Berlusconi con il metodo che conosce, lo ripaga e lo racconta attraverso la sua stessa moneta, rappresentando il contesto domestico del Cavaliere attraverso l’esacerbata e sua stessa macchina spettacolare: la televisione. Rischiando di sfiorare il ridicolo (la scena surreale del camion della spazzatura) Sorrentino tende il suo stile affinché esso stesso diventi metodo di indagine antropologica di un uomo antropocentrico, smascherandone la mostruosità del potere – politico ed economico – che si cela dietro ad un falso sorriso. Se tende ad inciampare nella rappresentazione surrealistica recupera l’equilibrio attraverso lo svelamento (biasimabile) dell’uomo, osservandolo dietro la lente distorta del grottesco petriano. Ammesso questo, e riconosciuto qualche ammiccamento all’ultimo Korine, ecco che il suo stile può dilatarsi su tutto (e qui le tag-line del lancio dei due film sono riferite più a Sorrentino che a Berlusconi) diventando prima videoclip, gioco specchiante di superfici riflettenti, quiz televisivo, trovando il punto di totale convergenza nella perfetta sovrapposizione tra cinema e pubblicità, in quel prossimamente televisivo che si espande riempiendo tutta la superficie dello schermo cinematografico (Congo Diana).

Sorrentino insinua il seme della riflessione all’interno dello stesso metodo di rappresentazione adottato dai canali commerciali berlusconiani. E se l’immaginario della seconda Repubblica è un universo ideale e plastificato ricostruito sopra alle macerie culturali e sismiche di un’Italia in ginocchio, non ci deve sorprendere se nel finale viene recuperata intatta l’effige della purezza definitiva, dell’altruismo incondizionato, della cristianità ontologica che è sopravvissuta al cataclisma distruttivo della santità filistea e del cattolicesimo di facciata. «Il re è nudo!», gridava svelando la nudità un bambino nella fiaba di Andersen dopo che lo stesso uomo di potere cadeva nella trappola della sua vanità, ed allo stesso modo Sorrentino svela la nudità di Berlusconi attraverso il vestito più bello (e più falso) del suo guardaroba. Nudità che si palesa oltretutto anche attraverso due figure femminili: la prima, e più importante, è il personaggio di Veronica Lario (Elena Sofia Ricci), contraltare femminile ed intellettuale (tanto per tornare alla precedente citazione di Papini) che rappresenta su di sé la forza mistificatrice del falso profeta, donna dapprima sedotta, poi innamorata, poi mantenuta, poi tradita ed infine deposta. L’altra è rappresentata da Stella (Alice Pagani), l’anima pura che resiste alle lusinghe del tentatore riflettendo il suo lato patetico.

Non è più negli angusti e bui corridoi di palazzo che si muove la mostruosità, l’istrice sanguinaria, la cinica, spietata e sardonica figura andreottiana che ha avuto nelle mani il potere nella prima Repubblica. Non è tra la notte delle strade di Roma, nei concili della Santa Sede, nei meravigliosi giardini papali che il potere spirituale (e temporale) si riversa nel pop come una parabola rovesciata in grado di esibire il profano nel sacro. Questa volta la maschera si muove tra altre maschere, esibendosi in tutta la sua falsa luminosità; l’Avversario porta con sé il suo teatrino, un circo funambolico di corpi, interessi economici e politici, droga ed escort. Non nasconde la sua immagine come una rockstar (Lenny Belardo), non si cela nell’ombra del palazzo di potere, non muove i fili dietro ad un sipario, il Re si mostra, e mostra il suo carnascialesco seguito, e ritrovandosi nudo riesce a far credere al mondo il contrario, additando quel bambino per pazzo. E’ necessario riconoscersi in Paolo Sorrentino, un regista che vuole rappresentare il potere, un contenuto spigoloso che in pochi ancora hanno il coraggio oggi di affrontare, o che sanno affrontare. Abitante del lato luminoso di una luna oscura dove risiedono sia Andreotti che il Papa giovane, portatori di un potere alieno, come alieni sono tutti i suoi ritratti del potere, Sorrentino, impastando il pane della postmodernità, del post-reale, traccia una linea neanche tanto netta tra noi e loro: per quanto ci crediamo assolti siamo lo stesso coinvolti.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 13/05/2018

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