Le Ardenne – Oltre i confini dell'amore

L'esordio di Robin Pront è un'opera più programmatica che bella, in cui tutto è al posto giusto, funziona, ma sa troppo di atto di ribellione verso certo cinema festivaliero belga.

Chi scrive segue con crescente interesse, da circa un paio di anni, il cinema belga. Il quale pare volersi definitivamente smarcare da quella sorta di sindrome di Stoccolma verso la vicina Francia, che ha tenuto in ostaggio maestranze tecniche e artistiche dal precinema (Étienne-Gaspard Robert con le sue fantasmagorie e Joseph Plateau con il fenachistoscopio erano belgi) fino ai tempi d’oro, quelli in cui operarono sceneggiatori come Charles Spaak (La grande illusione di Jean Renoir, ma anche, in Italia, La spiaggia di Alberto Lattuada) e registi come Jacques Feyder (L’Atlantide, La kermesse eroica), o a quelli più recenti in cui un attore belga di gran spessore come Benoît Poelvoorde (coregista, nel 1992, con Rémy Belvaux e André Bonzel, di un mockumentary disturbante, raro caso di film belga esportato, distribuito infatti anche in Italia col titolo Il cameraman e l’assassino) lavora quasi in pianta stabile nel cinema dei cugini transalpini, così come un altro belga definitivamente cooptato dalla douce France, ovvero Jaco Van Dormael.

Che il fermento del cinema fiammingo tout court, invece, sia un dato di fatto, lo confermano le due candidature all’Oscar come miglior film straniero nell’ultimo lustro (Bullhead e Alabama Monroe di cui qui ritroviamo la protagonista Veerle Baetens) e la crescita di un cinema di genere che ha in Erik Van Looy (regista di Loft di cui sono stati girati due remake, uno tedesco e uno americano, quest’ultimo diretto dallo stesso Van Looy) il suo esponente di maggior successo, anche se il più anodino. A differenza di Michael R. Roskam (Bullhead), Pieter Van Hess (Linkeroever, Dirty Mind e Waste Land) e Vincent Lannoo, regista dell’esilarante mockumentary Vampires, operano sì nei generi (il thriller, l’horror e la commedia horror) ma senza annullarsi nei loro codici espressivi, bensì conferendo ad essi una cifra estremamente personale e legata alla terra d’origine. Tutti intenti a liberarsi del peso non solo del ben più potente, politicamente ed economicamente, cinema francese, ma anche di un cinema esportabile e festivaliero come quello dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne e, più di recente, dell’accoppiata formata da Peter Brosens e Jessica Woodworth, autori di La quinta stagione e Un re allo sbando. Una ribellione che l’esordiente Robin Pront esplicita fin dal titolo originale con D’Ardennen (da noi Le Ardenne – Oltre i confini dell’amore), parola foneticamente identica al cognome cinematografico più famoso del Belgio.

Sotto l’egida della Savage Film (produttrice di Bullhead) e dello stesso Roskam, che originariamente doveva dirigere ma risulta produttore associato, Pront realizza un’opera più programmatica che bella, in cui tutto è al posto giusto, funziona, ma sa troppo di atto di ribellione verso “le cinema des frères” che per i belgi sono un po’ quello che erano i papà per la Nouvelle vague. Mentre la prima parte, con la sua descrizione realistica di un’Anversa plumbea in cui si muovono i due fratelli protagonisti (uno dei quali avrebbe dovuto essere interpretato da Matthias Schoenaerts, forse la prima star belga internazionale, poi rimpiazzato da Kevin Janssens), sembra la devota messa in scena di un emulo dei registi di Rosetta, nell’ultima mezz’ora, in quel luogo eponimo nonché omonimo dei famosi cineasti, Pront marca il territorio che intende battere davvero e attua la separazione. Sebbene il film diventi altro resta comunque derivativo, ma è al cinema americano che guarda, quello di altri due fratelli, Joel e Ethan Coen, quello di Tarantino (Stef e Joyce sono due personaggi che non avrebbero sfigurato al fianco di Lebowski o di Vincent Vega) e il Fincher di Se7en per il twist finale.

Autore: Rosario Gallone
Pubblicato il 12/07/2017

Ultimi della categoria