Game of Thrones 6x02 - Home

What is Dead May Never Die

Mistero risolto: Jon Snow è vivo.

Nella recensione della premiere avevo scommesso su una soluzione non così imminente, ma a quanto pare mi ero sbagliato. La resurrezione del personaggio più amato dal pubblico di Game of Thrones ha spiazzato fin nelle sue tempistiche, giungendo a suo modo inaspettata.

Se il disvelamento della natura di Melisandre aveva lasciato un potenziale sviluppo su cui sperare e confermato indirettamente il reale destino dell’eroe, la sensazione era che per il fan l’attesa sarebbe potuta essere ancora lunga e snervante. Così non è stato, gli autori da questo punto di vista hanno servito allo spettatore uno shock che è diventato celebrazione collettiva, ma soprattutto hanno dato un’improvvisa accelerata a un inizio di serie alquanto sospeso e impregnato di una certa immobilità mortifera.

Nel frattempo la coralità di Game of Thrones prosegue come consuetudine, ma, per quanto riguarda questo secondo episodio, è opportuno focalizzare l’attenzione sull’importanza del ritorno a casa del Lord Commander.

E guarda caso proprio il nome della puntata è Home, una ricongiunzione simbolica tra Jon Snow e il suo mondo di appartenenza, sia come universo rappresentato sia come fandom, che finalmente può riabbracciarlo dopo un anno di ossessive teorie sulla sua ricomparsa.

Avvolto in una chiara aura cristica, il corpo è affidato al potere di Melisandre, ormai sempre più disillusa sulle sue reali potenzialità e sulla connessione con il Dio della Luce. La sacerdotessa, in crisi di Fede, mostra così il suo lato umano, lo stesso che viene rivendicato da Sir Davos, figura chiave nello spronare la Red Woman a tentare l’ultimo rituale per far resuscitare l’ultimo Stark.

Ritorna quindi con prepotenza uno dei temi chiavi della serie, ovvero la fiducia nell’uomo come creatore del proprio destino. Il colpo di scena però viene costruito con intelligenza a partire dall’analogia con la congiura del season finale della stagione cinque, con un plongée molto lento che si avvicina sul volto del protagonista. Un richiamo che figurativamente esorcizza il trauma del passato portando lo spettatore a guardare dritto quegli occhi non più velati di morte e pronti a tornare a guardare.

Si potrà parlare di una soluzione telecomandata o alquanto prevedibile, gestita attraverso un montaggio classico che vede l’alternanza tra il cadavere e il lupo che piano piano percepisce l’avvenimento imminente, ma forse conviene andare oltre e sottolineare come la sequenza finale crei un ambiente intimo tra Jon Snow e il pubblico nella gestione dello sguardo.

Nell’incredulità generale dei vari personaggi, la speranza sembra cedere posto alla rassegnazione e lentamente la stanza si svuota. Ecco quindi che parte il movimento di macchina, rimaniamo solo noi, pieni di desiderio, che ci avviciniamo al nostro eroe.

E’ come se quell’ultimo passo verso la sua resurrezione definitiva avvenisse grazie al magico osservare dello spettatore che non smette di crederci fino in fondo.

Superato il caso Jon Snow, occorre buttare un occhio veloce su dei capovolgimenti gerarchici che hanno colpito due casate. Sia i Bolton che i Greyjoy infatti hanno perso il loro Re attraverso un colpo di stato violento dei propri figli. Tra le due dinamiche è evidente il peso dell’atto di Ramsay che, pur non stupendo per crudeltà e sadismo, porta il personaggio in un’autonomia decisionale molto concreta che preluderà a un ruolo di primo ordine in vista del futuro.

Nel frattempo è un nano a creare un legame diretto con i due Draghi tenuti in cattività. Oltre all’evidente confronto tra le due nature, l’atto di coraggio di Tyrion potrebbe nascondere un indizio sulle sue origini. Che possa scorrere anche in lui il sangue Targaryen?

Siamo sempre sul piano delle divertite speculazioni. Questo è indubbiamente un punto di forza della serie che continua a mettere in tensione l’immaginazione dei suoi fan.

Autore: Marco Compiani
Pubblicato il 08/05/2016

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