Fear The Walking Dead / Premiere

I walkers sono come il maiale, non si butta niente, tutto fa audience. In attesa della sesta stagione della serie madre, è cominciata Fear the Walking Dead, e Los Angeles già trema.

Spin off, anzi no, switch off, spegnete i cervelli, poi riaccendeteli che si ricomincia, una nuova apocalisse zombi in formato West Coast. Fear the Walking Dead, putrescente escrescenza di The Walking Dead, ha visto la luce su AMC, network privatissimo dalle contestate e non ritornanti dipartite di Walter White (Breaking Dead!) e Don Draper (Mad Man Not Walking!).

Il 23 agosto 2015 è andato in onda il pilot della prima stagione, la prima (e la più lunga) di 6 puntate date in pasto ai telecannibali in attesa del ritorno autunnale di Rick, Daryl e compagnia ammazzante. A proposito di Daryl, lui è il più amato della serie tv più vista di sempre, ed è l’unico ad essere invenzione tv originale, non ispirato ad alcuno dell’omonimo comic a firma Robert Kirkman. Questa originalità – dei personaggi, non della storia –pare essere il motivo ispiratore di FTWD, creata dal medesimo Kirkman.

Si comincia, scene di delirio acido in una chiesa sconsacrata, è un deja vu, anche la quarta stagione di TWD viveva in gran parte all’ombra di un crocifisso, poi comincia così anche Sense8, la vera novità di questa stagione, e noi crediamo nelle inevitabili connessioni psicospaziosensoriali, o nella necessità di blasfemia e misticismo via cavo, fate voi.

Fear Begins Here recita il promo, la paura comincia qui. Nick Clark si fa di eroina davanti all’altare, junk communion la chiamano i suoi amici, ma se un tossico vede una sua amica mangiare la faccia di qualcuno come fosse un’ostia, si augura che sia tutta colpa della droga. O che la propria testa sia andata in pappa. Lo spera, perché se non è la droga, e nemmeno la follia, allora l’orrore è reale. La chiesa sconsacrata, rifugio abituale dei drogati del circondario, è ricettacolo simbolico di viventi già morti (addicted) prima dell’epidemia, basta guardare come cammina Nick, lo stile da walker ce l’ha nel sangue. Si inizia bene, nel posto giusto e tra le persone giuste.

Nick ha una madre (Kim Dickens, applausi e sguardi morbosi tutti per lei) e una sorella perfettina: i cocci di una famiglia distrutta. Ne vediamo un’altra mezza ma è quel che resta della famiglia del patrigno, apparente maschio alfa che pur senza legami di sangue diretti col tossico, sembra l’unico in grado di parlargli. Madre e patrigno sono professori di college della sottospecie Attimo Fuggente, il nocciolo colto e snob dei democrat in Obama style, qua mica siamo tra pistole e sceriffi simil redneck. Il patrigno, dicevamo: si cala nell’incubo di Nick, penetra nella ex-chiesa per esigenza di verità, vedere, scongiurare, magari rassicurare, nel mentre ai suoi alunni insegna Jack London, che a sua volta cerca di insegnare al mondo come non morire, come restare vivi. Intorno a loro, Los Angeles, e intorno a Los Angeles la paranoia, che stringe le spire dell’assedio in maniera invisibile: gli occhi di un tossico non possono avere visto il reale, Internet non può raccontare il reale, secondo quelli che ben pensano. L’angoscia sale lentamente, si inocula nella visione come un virus, come virale è il video POV nel quale un cadavere aggredisce i vivi, anche dopo essere stato crivellato di colpi.

La definitiva epifania del morto vivente giunge all’epilogo della puntata, tra doverosi omaggi a George Romero e imprevedibili cenni allo Stephen King minore (Creepshow 2). Tutto molto semplice e solido, lineare, privo di fronzoli e dotato della piacevolissima caratteristica dello slow-burn dell’era Pizzolatto. Colpi di scena, al momento, non ce ne sono e non ci dovrebbero essere. La critica esecra, la gente impazzisce ed applaude, più di 10 milioni di spettatori incollati al teleschermo, miglior esordio per una serie tv via cavo, che già sdogana il cantiere per la seconda serie, ben più corposa della prima. So dead so good, forever and ever.

Autore: Dikotomiko - d…
Pubblicato il 26/08/2015

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