Dossier H.P. Lovecraft / 6 - The Resurrected

A metà tra detective story e horror, Dan O'Bannon firma uno dei più stimolanti adattamenti lovecraftiani.

“Se l’uomo muore può egli tornare in vita? Aspetterò tutti i giorni del tempo che mi è stato dato, finché arriverà l’ora del mio cambio.” Giobbe, XIV, 14.

Misteri, vita, morte, tempo, destino. In un passo biblico la sintesi delle tematiche che più interessavano a Howard Phillips Lovecraft e a Charles Dexter Ward, protagonista di una vicenda terrificante e, soprattutto, sovrannaturale. Dan O’Bannon riprende, adattandolo ai suoi tempi, un romanzo quasi storico, scritto come un diario o come una lunga testimonianza resa alla polizia circa un secolo fa. E lo fa nella forma più consona al genere dei primi anni ’90, una detective story venata di orrore, un film in tre atti quasi canonici, aiutato nella sceneggiatura dallo stesso Brent Friedman che da lì a poco diverrà l’autore di Necronomicon: Book of Dead prima di addentrarsi nel mondo dei videogiochi con l’adattamento di Fallout.

La trama appare semplificata rispetto al racconto di base e si concentra, con qualche significativa modifica, sulla seconda parte del testo di Lovecraft: laddove lo scrittore di Providence mostrava due figure in antitesi, quasi fossero uno l’alter-ego dell’altro, il dottor Willett e Charles Dexter Ward (con il primo nel ruolo dell’indagatore dei misteri che avvolgono la figura del secondo, quindi due “uomini di scienza”), in questo adattamento i due protagonisti hanno poco o niente in comune, se non la passione celata/negata verso la donna che fa scaturire la “ricerca”.

Niente di più distante che un uomo della “legge”, un detective privato, incaricato dalla moglie di un ricco imprenditore di indagare sulle strane vicende riguardanti il marito: Claire Ward (Jan Sibbett) è preoccupata per i continui traffici e per le storie che si raccontano sul marito, da cui è separata da qualche mese. Charles Dexter Ward (qui O’Bannon si avvale di uno dei volti più iconici del genere, quello di Chris Sarandon) lavora fino a tarda notte nella rimessa vicino casa, conducendo esperimenti che rimandano odori nauseabondi e continui spostamenti di merci misteriose. Così come in Lovecraft, l’uomo è divenuto ossessionato da una scoperta fatta nella (ormai classica) vecchia casa sulla collina, proprietà dei coniugi Curwen, dove ha rinvenuto alcuni manoscritti e un dipinto. Il suo comportamento si è fatto sempre più schivo e misterioso e la frequentazione di uno “strano” e sconosciuto collaboratore ha insospettito oltremodo la donna.

Il detective scoprirà un’incredibile somiglianza tra Charles Ward e il vecchio Curwen, uno scienziato dell’800, non riuscendo da subito ad attribuirvi una relazione con i suddetti accadimenti. Nel frattempo nella cittadina si verificano misteriosi omicidi, attacchi notturni di animali e/o predatori e Ward, ossessionato dalla sua “ricerca” sta impazzendo completamente. Non resta quindi che rinchiuderlo in un manicomio.

L’idea del vampirismo e della necromanzia si fa strada lentamente nel film, ma non appena la moglie nomina le “lunghe e pesanti casse” trasportate prima alla rimessa e poi alla residenza dei Curwen, e mano a mano che ci viene mostrato l’aspetto decadente di Ward, capiamo di trovarci di fronte a qualcosa di realmente mostruoso, qualcosa che divora dall’interno l’uomo e l’animo umano. Iniziamo a scendere negli abissi della mente di Ward così come l’investigatore March scenderà nei sotterranei della casa, scoprendo il laboratorio e le catacombe che nascondono l’orribile segreto del Dr. Ward. La scoperta trasforma questo film a suo modo giallo, poliziesco, in un vero e proprio horror di carne e ossa, dove la carne è quella dis-umana delle creature portate alla vita da una pozione alchemica (e una quasi indecifrabile formula) e le ossa sono ciò che resta delle vittime umane del mostro risorto, quel Dr. Curwen che ha ormai preso il posto di Charles. Colui che è risorto è quasi/forse un mostro di Frankenstein al contrario, un Dorian Gray post-litteram, un “vecchio” che torna per rinverdire gli interessi di gioventù a scapito del suo giovane erede.

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Alla regia abbiamo l’allora giovane sceneggiatore di Alien e di Atto di forza, al secondo film dopo il piccolo grande cult Il ritorno dei morti viventi, ironico e iconico omaggio al film di Romero a cui dobbiamo attribuire la completa definizione di “zomcom”, commedia con zombie fast & furious che da lì in poi riempiranno gli schermi cinematografici per almeno dieci anni. Ma O’Bannon non è solo uno scaltro adattatore (dirà poi che il film non è proprio frutto del suo genio e ne prenderà quasi totalmente le distanze dopo l’uscita straight to video nel 1993), è anche e soprattutto un acuto osservatore: ha già potuto lavorare a fianco di grandi maestri come John Carpenter e Tobe Hooper, sfruttando poi le incursioni nei mondi fantascientifici di Ridley Scott e Paul Verhoeven. Il risultato di quest’esperienza è uno dei migliori adattamenti cinematografici di fine secolo: O’Bannon sa come maneggiare la materia lovecraftiana e renderla più intrigante e orrorifica del racconto, che soffre alcuni momenti di eccessivo zelo nei racconti "navali" che vedono protagonista il vecchio Joseph Curwen.

Gli altri meriti della pellicola sono sicuramente da attribuire a Chris Sarandon, in un impeccabile doppio (triplo,anzi) ruolo, affascinante e inquietante al tempo stesso, e agli effetti visivi massicci e squisitamente rivoltanti.

Autore: Laura Da Prato
Pubblicato il 24/03/2017

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