Dossier H. P. Lovecraft / 9 - Stuart Gordon e i Miti lovecraftiani

Re-Animator, From Beyond e Dagon, un viaggio nel cinema dei Miti non può che passare dai tre film di Gordon dedicati al Solitario di Providence.

Il sodalizio tra Brian Yuzna e Stuart Gordon, nato inizialmente sotto l’egida produttiva di Charles Band e della sua Empire International Pictures, ha rappresentato una delle realtà più floride del panorama horror americano anni Ottanta. In un decennio in cui il genere avanzava a passi da gigante, metabolizzando e proseguendo la lezione dei Seventies, i due apportarono il proprio contributo al body horror con due pietre miliari come Society - The Horror e Re-Animator, per entrambi le rispettive opere prime. E se il primo, del 1989, rappresenta ancora oggi la pietra tombale e il punto di non ritorno di un’estetica fredda, lucida e glaciale, fatta di volti e corpi da copertina destinati a decomporsi e a fondersi in un’orgia plastica sulle note del valzer di Strauss, il secondo, appena quattro anni prima, rivoluzionava le regole del gioco con una libertà espressiva e visiva che sconfinava nella follia anarchica più radicale.

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Ma non solo: nell’ottica di questo speciale (dedicato al rapporto del cinema con il mondo di Howard Phillips Lovecraft) il film di Gordon è seminale anche perché rappresenta il primo grande tentativo da parte del cinema americano di far rivivere l’opera dello scrittore di Providence su grande schermo, dopo i primi tentativi degli anni Sessanta e Settanta. Il racconto Herbert West, rianimatore diventa quindi lo strumento ideale per applicare le idee e le intuizioni dello scrittore alle sperimentazioni visive dell’horror anni Ottanta, quello che utilizzava il corpo umano come un limite fisico da superare in qualsiasi modo possibile; ed ecco allora che la vicenda di questa sorta di novello Dottor Frankenstein si trasforma nel pretesto per mettere in scena il più estremo grand guignol visivo realizzato fino a quel momento, senza però mai dimenticare una sottile vena ironica (che sarà poi amplificata nel seguito, Bride of Re-Animator, diretto proprio da Yuzna) capace di contribuire all’indiscusso statuto di culto del film. Al di là dei differenti sviluppi narrativi, è appunto l’ironia a contraddistinguere maggiormente il risultato finale dal racconto di partenza, del quale gli sceneggiatori Gordon, William Norris e Dennis Paoli prendono sostanzialmente soltanto la figura del protagonista e la sua ossessione nelriportare in vita i cadaveri (mentre in Lovecraft il tutto sfociava in un clima via via più allucinante e insostenibile, con una indimenticabile incursione negli orrori della Guerra Civile Americana). Fondamentale, in ogni caso, il contributo dell’attore Jeffrey Combs nell’interpretare un mefistofelico Herbert West, entrato di diritto nell’immaginario collettivo dei mad doctor del grande schermo.

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Il vaso di Pandora, comunque, si è ormai aperto: da questo momento in poi le trasposizioni dalle opere di Lovecraft si diffondono a macchia d’olio e, appena un anno dopo, lo stesso team produttivo tenta di replicare il successo di Re-Animator con From Beyond, dal racconto Dall’altrove. Dal film precedente vengono confermati sia Combs che Barbara Crampton, e Gordon, potendo usufruire di un budget più consistente, mette ulteriormente alla prova il proprio talento visivo per un film che prosegue il discorso cominciato l’anno precedente portandolo, se possibile, ancora di più alle estreme conseguenze. Generalmente poco considerato dalla critica ufficiale, From Beyondrappresenta invece una delle summa teoriche dell’horror anni Ottanta, lasciando che al suo interno confluiscano tutte le tensioni sotterranee del periodo, complice anche l’influenza autoriale che Cronenberg stava diffondendo in maniera parallela e totalmente autonoma. Esattamente come accaduto con Re-Animator, anche stavolta il materiale narrativo di partenza (un racconto di poche pagine) viene utilizzato unicamente come trampolino di partenza per uno svolgimento in realtà differente e più sfaccettato, in cui desiderio e carne diventano una cosa sola, anticipando sotto alcuni aspetti quello che sarà poi l’altrettanto seminale Hellraiser> di Clive Barker, atteso per l’anno successivo.

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Completamente differente invece il contesto storico e produttivo che vede la realizzazione di Dagon, nel 2001: a seguito di un decennio, quello degli anni Novanta, in cui l’horror aveva fatto i conti con il periodo di maggiore crisi della propria storia, la spagnola Fantastic Factory di Julio Fernandez per un breve tempo si era affermata come unica risorsa in grado almeno di provare a ridare un minimo di linfa vitale al genere. E insieme proprio a Brian Yuzna (con titoli in verità non indimenticabili, come Faust e Rottweiler), questa factory tutta europea permette a Stuart Gordon di tornare a dirigere un horror puro e semplice, dopo una serie di incursioni nella fantascienza. Il risultato è un film divenuto immediatamente oggetto di piccolo culto presso i fan di tutto il mondo, grazie sostanzialmente a quella fedeltà visiva che per la prima volta rende finalmente giustizia alle atmosfere e alle dimensioni narrative di Lovecraft: tratto non dal racconto omonimo quanto in realtà dal celebre (e più articolato) La maschera di Innsmouth, Dagon è un’immersione melmosa dentro i meandri dell’universo lovecraftiano, fatto di villaggi popolati da freaks deformi e cultisti che proteggono segreti dietro i quali si celano orrori innominabili. Se la narrazione è tanto basilare quanto efficace (tutto si svolge praticamente entro un giorno e una notte), Gordon dal canto suo riesce a rendere perfettamente i contorni di un mondo inquietante e sporco, recuperando la filosofia di fondo che sta alla base di tutta la poetica dello scrittore americano e che vede la dimensione orrorifica come il viatico – doloroso ma necessario – per ricongiungersi con le origini del proprio retaggio storico e culturale. Un b-movie orgoglioso di essere tale, ma comunque in grado di soffocare lo spettatore e immergerlo alla perfezione, finalmente, dentro i confini delle pagine del Solitario di Providence.

Autore: Giacomo Calzoni
Pubblicato il 07/04/2017

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