Dossier Giovanni Cioni / 3 - Verso un’antropologia poetica

In bilico tra documentarismo e poesia, Giovanni Cioni racconta una Napoli misteriosa in cui si intrecciano passato e presente, sogno e realtà

Spesso in bilico tra indagine documentaristica e meditazione poetica, il cinema di Giovanni Cioni – nato a Parigi, vissuto a Bruxelles e ora direttore e creatore di laboratori cinematografici in Toscana - si configura come un percorso autonomo, originale e autarchico in ogni suo passaggio. All’interno dello speciale che Point Blank dedica al suo lavoro multiforme e tuttavia sempre coerente, merita un approfondimento il rapporto del regista con la capitale campana: Napoli viene raccontata sotto una luce insolita nei suoi aspetti più sotterranei e, per certi versi, macabri in In purgatorio – dove si descrive il culto dei morti in alcune sue singolari e rare peculiarità - e “fotografata” nel breve segmento filmico Prima di Napoli (parte del film collettivo Napoli 24 ) in cui Cioni rende omaggio alla città attraverso una riflessione che diviene anche metafilmica.

Soprattutto nella prima opera citata, vediamo intrecciarsi saldamente e fruttuosamente le tendenze che dominano il cinema del regista: da una parte quella antropologico-documentaristica (ricordiamo gli studi universitari in antropologia e la formazione con Jean Rouch a Parigi), dall’altra quella più lirica e intimistica, verso un “cinema di poesia” – per citare una nota definizione pasoliniana.

Sia Prima di Napoli che In purgatorio vengono realizzati nel 2010; il primo è, in sintesi, una fotografia che si anima, con la sovrapposizione di quella visione oleografica, statica, abusata, tipica della cartolina, alla pulsante vitalità della città reale, in continuo movimento. Siamo in un territorio ibrido “tra la compiutezza dell’immagine (una inquadratura con la sua forma, la sua misura) – e l’incompiutezza di qualcosa che è sempre in divenire, una città vissuta, Napoli.” In soli tre minuti Cioni costruisce un meccanismo che nella sua semplicità e brevità apre un discorso ben più vasto sul rapporto tra immagine e tempo, e quindi, ontologicamente, sul cinema: il cinema che sottrae la realtà allo scorrere della vita, cristallizzandola, senza tuttavia privarla del movimento (e quindi del tempo). Il tempo dunque persiste, come mostrano gli elementi dinamici di questa cartolina solo apparentemente – inizialmente - statica e inerte, e si dipana nei mutamenti di luce e colore nel cielo – dal giorno chiaro a notte fonda e poi di nuovo l’alba – o, ancora, celebra la sua eternità nel rumore dolce e costante del mare in sottofondo. E tuttavia, questo tempo-movimento è segreto, implicito, si rivela inaspettatamente come messa in discussione della “pietrificazione” operata dalla fotografia. Testimonia il divenire delle cose, e tuttavia è estraneo ad esso, poiché trasformato in un potenziale infinito loop, in quanto cinema.

Immagine rimossa.

In purgatorio, lungometraggio singolare nelle scelte tematiche ed eccezionale nella sua capacità di rivelare un mondo per lo più ignorato o sommerso, evidenzia anche un’altra significativa caratteristica che attraversa gran parte del lavoro del regista: l’interesse e la curiosità verso dimensioni liminali e marginali, poco scandagliate; la volontà – in un certo qual modo anche politica – di dare voce agli esclusi e ai dimenticati (pensiamo, tra gli altri titoli, a Per Ulisse , già recensito ne I Sotterranei di Point Blank).

Tra superstizione e religione, folklore e magia, il film illumina un sottobosco di volti, voci, luoghi, in cui il tentativo di esorcizzare la paura più atavica, ineludibile e universale – quella della morte – assume forme e cadenze ora lugubri, ora fantasiose e pittoresche. Il regista, occhio empaticamente incuriosito e tuttavia estremamente rispettoso dietro la macchina da presa, si pone di fronte alla realtà senza alcun pregiudizio e con grande umiltà. Mai – neppure negli altri suoi film – Cioni dà la sensazione di voler piegare, forzare o inquinare la materia rappresentata secondo direttive o esigenze precostituite, pensate o stabilite a priori. Al contrario, il suo fare artistico lascia con piacere ampio spazio alla casualità e all’incompiutezza del reale, che mantiene così intatto il sapore – raro - dell’autenticità.

Immagine rimossa.

C’è, in questo mondo misterioso e arcano, popolare e fiabesco, contemporaneo eppure fuori dal tempo, chi legge il presente attraverso i sogni in cui compaiono i propri cari defunti e chi accudisce un teschio antico, dimenticato e senza nome: lo lava, lo pulisce, gli pone accanto un fiore fresco, gli restituisce insomma un’identità che era andata perduta nel corso del tempo (addirittura secoli, per gli scheletri dei morti dell’orrenda peste seicentesca). Il purgatorio è, dunque, una dimensione sospesa a metà, in cui i morti sono presenti accanto ai vivi, e compaiono come volti tra la folla, figure oniriche, voci, presenze. Per creare, con i vivi, un legame sottile e segreto, di reciproca cura e protezione.

Lo sguardo antropologico di Cioni abbraccia la quotidianità (in alcuni casi equivoca, ombrosa) dei luoghi rappresentati e insieme il sentire particolare (astorico e prodigioso, libero e irrazionale) di chi questi luoghi li abita. La chiave di volta del film, la sua peculiarità, sta nel fatto che la conclusione ultima del regista non sta tanto su un piano socio-antropologico, quanto poetico: in questo territorio dunque non è importante la fede – la sua presenza o assenza nel pensiero dell’autore – e non esiste il giudizio. Lo spazio in cui si muove il film non è, pertanto, quello di un’analisi-studio quanto piuttosto quello di un’affabulazione affascinata, di un’ osservazione partecipante risolta, infine, in una empatia lirica. Permane, solida e concreta, la volontà di fare del cinema la lingua scritta della realtà – ancora, queste parole di Pasolini appaiono davvero calzanti se rapportate al modus operandi cinematografico di Cioni di fronte al reale, la cui imprevedibilità e fluidità vengono accolte, dall’occhio permeabile e spalancato della macchina da presa, ogni volta in maniera armonica, naturale, spontanea, e – a tratti – con sommesso, lieve umorismo.

Immagine rimossa.

Con il piglio dell’esploratore Cioni si inerpica in questa terra dell’invisibile, sempre davanti ai nostri occhi eppure raramente indagata forse poiché intrisa di potenti forze irrazionali, ambigue, incatalogabili, che accolgono meravigliosamente in sé la contraddizione (scienza e superstizione, modernità e astoricità) in un intrigante – per certi versi postmoderno – sincretismo. Di fronte a questa mistura complessa, a questo singolare connubio di retaggi antichi e contemporaneità, l’atteggiamento del regista appare quanto mai indovinato, proficuo e funzionale sia a restituire un’immagine sfaccettata e quanto più possibile veritiera di ciò che viene descritto, sia a immergersi senza urti, e tuttavia profondamente, nelle acque increspate e ignote di questo mondo sommerso, emblematicamente a confine tra passato e presente, spirito e materia, sogno e realtà.

Autore: Arianna Pagliara
Pubblicato il 30/03/2015

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