Chongqing Hot Pot

L'opera seconda di Yang Qing è un buon esempio di cinema di genere cinese, appesantito da alcune immaturità di scrittura e dall'uso troppo superficiale dell'ambientazione urbana

Un film come Chongqing Hot Pot dimostra, ancora una volta, i rapidi progressi del cinema di genere cinese. Heist movie brillante e sensibile alle aspettative di un pubblico ormai globale – con tanti saluti ai grandi Firewall e all’ "Intranet" cinese –, l’opera seconda di Yang Qing assimila i giusti elementi dell’action orientale e dello spettacolo hollywoodiano. La narrazione è ancora immatura e farraginosa, ma Yang Qing conferma di essere un autore promettente (a patto che lasci la sceneggiatura a dei professionisti, la prossima volta).

Il gambetto che apre Chongqing Hot Pot è perfettamente eseguito: un gruppo di rapinatori mascherati assalta una banca e riesce ad accedere al caveau. Il loro autista è costretto alla fuga e i ladri devono trovare un’altra via d’uscita: per un curioso gioco del destino, nel caveau c’è una breccia che porta direttamente alla libertà. Come è finito lì, quel buco? Un flashback ci porta alla storia dei tre ragazzi della rivale "banda del buco": sono i giovani gestori di un ristorante nei paraggi. Sono ragazzi squattrinati, con frequentazioni sbagliate, debiti e mogli ingombranti, costretti ad un’espansione "informale" del locale fallimentare per riuscire a venderlo ad un buon prezzo. Inizialmente, i tre resistono alla tentazione di rapinare il caveau, ma un’amica d’infanzia li convincerà a fare il colpo grosso.

Le suggestioni stilistiche dietro a Chongqing Hot Pot sono numerose e stimolanti: difficile non pensare a Crazy Stone di Ning Hao, simile per ambientazione, tono, genere e stile a metà tra il grottesco e il drammatico, con rapide incursioni nel comico. Per ritmo della regia, i debiti più evidenti vanno all’action coreano e hongkongese, nonché all’heist movie hollywoodiano e alla saga di Ocean. Il montaggio è particolarmente ben curato e la fotografia di Liao Ni è perfetta per le atmosfere scure e sporche dei vicoli storici di Chongqing. L’ambiente è perfetto per il tipo di storia e di personaggi che il film vuole rappresentare: figure di perdenti e di uomini abbandonati a periferie urbane ed esistenziali. Questi sconfitti lottano tra di loro per un "posto al sole" illuminato delle luci calde della pubblicità, costretti all’angolo di un immaginario che non prevede la loro esistenza. Chongqing Hot Pot è una tragedia urbana dove il fato è un croupier bendato che gioca le sue carte e la violenza si fa unico linguaggio possibile di ribellione, come nel miglior cinema di John Woo e Johnnie To.

Il primo limite di Chongqing Hot Pot, della sua natura inestricabilmente urbana, è purtroppo la superficialità del suo rapporto con la città. Al di là di qualche suggestiva panoramica cittadina e altre location piuttosto generiche, come parcheggi e vicoli immersi nella notte, la tentacolare Chongqing, megalopoli della Cina centrale, è sfruttata poco e male. Metropoli unica nel contesto urbano cinese, costruita al confluire di due fiumi e varie colline, Chongqing è una città dallo sviluppo verticale quasi ossessivo, la cui ragnatela viaria è costituita da centinaia di ponti, funicolari e treni metropolitani. Non ci sono molte biciclette, a Chongqing, e la struttura rettangolare tipica della città orientale (o romana) è completamente sovvertita. Da un contesto così ricco è lecito aspettarsi qualcosa di più del semplice appello alla cucina locale (la hot pot del titolo) o alla presenza di numerosi bunker antiaerei come appigli narrativi su cui costruire una storia piuttosto generica.

Quello della storia, più in generale, è il fronte più sguarnito. Yang Qing ha costruito con estrema attenzione i picchi di azione e i climax narrativi, ma il percorso che porta ai momenti davvero gratificanti è debole e poco compatto, con rare accensioni nei momenti di comicità. Impantanandosi nelle storie dei suoi protagonisti, senza peraltro riuscire a renderli davvero convincenti, il corpo centrale del film disperde la tensione inseguendo cliché narrativi e sottotrame che perdono di vista il punto d’arrivo. Peccato, perché quando le molle dell’azione cominciano a scattare il risultato è davvero buono, e addirittura migliore di quanto non sembri a prima vista: il previsto scontro tra i (cosiddetti) cattivi e i (non così) buoni è ulteriormente arricchito da un colpo di scena che farà la gioia degli amanti del genere.

Chonging Hot Pot è un film da difendere nonostante limiti e sbavature: è cinema capace di intelligenza e di acuto sguardo sociale. Nel contesto della Repubblica Popolare Cinese, dove la frattura tra produzione autoriale e cinema puramente commerciale è enorme, opere come Chongqing Hot Pot mantengono una carica problematica e spingono sul limite tra ciò che può e non può essere mostrato. Nel contesto contemporaneo, dopo la disastrosa chiusura di tutti i festival di cinema indipendente cinese avvenuta negli ultimi due anni, l’importanza di questo cinema intermedio è incalcolabile.

Autore: Alessandro Gaudiano
Pubblicato il 27/04/2016

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