Captain America: Civil War

Il film dei fratelli Russo riesce in tutto quello in cui Age of Ultron aveva fallito, conquistando tutti i suoi obiettivi con equilibrio e forza accattivante

Da ormai qualche anno il mondo dei fumetti sta colonizzando le narrazioni audiovisive, e segnatamente al panorama cinematografico siamo nel pieno di una sfida titanica tra la Disney/Marvel e la Warner/DC. A spingere i supereroi verso gli spettatori sono anche altri soggetti, tra cui spicca il nuovo franchise della Fox sugli X-Men, che anche grazie a star del calibro di Michael Fassbender, James McAvoy, Jennifer Lawrence e Evan Peters sta riscuotendo un grandissimo successo ponendosi come l’unica concreta alternativa al duopolio.

Il panorama televisivo non è meno colpito di quello cinematografico, offrendo oltre alle creature proprietarie dei due colossi citati – rispetto alle quali spicca il lavoro fatto dalla Marvel con Netflix al fine di costruire un universo narrativo interno a quello dl MCU ma allo stesso tempo indipendente – anche altri esempi di incontro tra fumetto e audiovisivo. The Walking Dead è sicuramente il più famoso, ma proprio in queste settimane sono in arrivo due progetti di grande interesse: Outcast (Cinemax) tratto dal fumetto di Robert Kirkman e Preacher (AMC) tratto da quello di Garth Ennis.

Un panorama quindi sempre più variegato e reticolare, fatto di colossi industriali e popolari e piccole realtà di nicchia, in cui però senza dubbio spicca per complessità, ambizione e innovazione produttiva il lavoro fatto dalla Disney/Marvel con a capo Kevin Feige, che dal maggio del 2008 con l’uscita di Iron Man ha cambiato il modo di pensare il blockbuster contemporaneo e i franchise mediali, costruendo un universo che ora con Captain America: Civil War dà inizio alla sua “Fase 3”.

Sono tante le domande a cui il tredicesimo film del MCU deve rispondere, alcune delle quali si pongono tassativamente già in fase preliminare, mentre altre sono contenute all’interno del testo filmico.

Essere il primo lavoro della Terza Fase deve voler dire qualcosa – altrimenti la tripartizione ideata da Feige andrebbe presa solo come una divisione convenzionale, quale invece non è – e il terzo capitolo su Capitan America va considerato anche in quanto testa d’ariete di questo nuovo ciclo. Capire il senso del nuovo percorso passa anche per la comprensione dei precedenti che oggi, a cammino ultimato, appaiono molto ben definiti.

La Fase 1 è stata tutta incentrata sul nucleo centrale dei Vendicatori, con il solo Iron Man a meritare due film (grazie anche al volto più popolare e ficcante di Robert Downey Jr.) ed è terminata con il grande e ambizioso crossover The Avengers, straordinario successo di pubblico e critica affidato alle competenti mani di Joss Whedon.

La Fase 2 ha moltiplicato la complessità narrativa, ampliando l’universo con le estensioni seriali ma soprattutto con nuovi eroi inseritisi nel parco personaggi, che grazie anche all’apporto di autori di alto livello (i Russo, James Gunn, Edgar Wright – quest’ultimo uscito prematuramente dal progetto Ant-Man non senza lasciare nello script la sua inconfondibile mano) sono riusciti ad offrire anche alcuni dei film migliori del gruppo, come Guardiani della Galassia.

Ora però arriva il difficile, e non è un caso che siano stati scelti Anthony e Joe Russo, ovvero i responsabili del maggiore salto di qualità dalla prima alla seconda fase con Capitan America, ai quali è stata affidata anche la regia dei due prossimi film sugli Avengers.

Civil War apre la Terza Fase con ambizioni alte come mai prima d’ora (eccetto forse Iron Man, inteso soprattutto in quanto film d’esordio), degli ostacoli molto insidiosi e numerose necessità narrative da soddisfare. Il film riesce ad avere successo in tutti questi frangenti e a vincere le sfide che incontra conservando un delicato equilibrio per tutta la sua durata, cosa che non era riuscita a Joss Whedon con il secondo film sui Vendicatori. Il lungometraggio si ricorda di essere prima di tutto il terzo volume di Capitan America, per cui una delle necessità principali è legata al prosieguo della storyline che unisce il super soldato al Winter Soldier. A questa si aggiunge la decisione di fare del film un mega crossover, tanto da creare due squadre e dunque rendere Iron Man l’altro protagonista.

Se già questi due obiettivi possono sembrare irraggiungibili, il film prova (riuscendoci) anche ad approfondire personaggi introdotti da poco come War Machine, Visione, Scarlett Witch e Ant-Man. Ultimo proposito – ma non per importanza né per difficoltà – dei Russo è quello di introdurre due personaggi fondamentali a cui nei prossimi anni verranno dedicati film individuali: Black Panther e Spiderman.

Cosa pensare dunque di Capitan America: Civil War? L’inizio è folgorante e i fratelli Russo ci mettono pochissimo a mostrare l’artiglieria pesante, esordendo con un doppio incipit che mostra immediatamente le qualità del film sia dal punto di vista della scrittura che da quello della regia. La primissima scena infatti è legata al Soldato d’Inverno e mostra un evento non ancora ben decifrabile, ma che nel corso del film verrà rivelato con magistrale gradualità fino a diventare il principale motore narrativo dell’intera storia. La seconda sequenza è invece di quelle che levano il fiato, si pone come una vera e propria dichiarazione di stile e pianta inoltre di tralice rispetto alla vulgata che vuole il MCU leggero scanzonato e fracassone. Una decina di minuti figlia del gusto per le arti marziali del cinema di Gareth Evans, ma soprattutto evidentemente debitrice dell’inizio del Cavaliere oscuro. É proprio la trilogia di Nolan a risultare fondamentale nel guardare a questo lavoro: Feige e i Russo a poche settimane da Batman vs Superman dimostrano grande maturità nel non ingaggiare una lotta manichea e sterile basata sul banale cupezza vs leggerezza, ma danno sfoggio di ciò che sanno fare meglio, ovvero comportarsi come una spugna capace di assorbire e rielaborare tutto il meglio della cultura di massa contemporanea e quindi anche il lavoro di Nolan su Batman.

Accanto all’evoluzione dello spy-action messo a punto alla grande con Captain America: The Winter Soldier, i due registi hanno la grandissima capacità di attribuire ad ogni personaggio l’atmosfera e il registro del film di cui è protagonista, mutando i toni, lo humour e lo stile di ripresa a seconda delle esigenze del racconto. Lo si vede alla perfezione nelle sequenze con al centro Ant-Man, in cui prevale il gusto per il paradosso, la battuta sarcastica, il confronto tra umano e superumano visto dal punto di vista estremamente empatico di un uomo divenuto improvvisamente eroe.

In maniera ancor più incisiva e nient’affatto scontata vengono trattati Black Panther e Spiderman: il primo in quanto personaggio praticamente sconosciuto necessita una contestualizzazione un po’ più ampia, alla quale viene affiancata una perfetta messa in scena delle sue abilità nel combattimento fatta di coreografie spettacolari e una violenza mai mascherata; l’Uomo Ragno era il più atteso di tutti, il personaggio più noto e quello più rischioso, e tanto accresce i meriti degli autori (e del interprete Tom Holland) per aver creato un eroe perfettamente aderente al canone, divertentissimo, integrato con tutti gli altri e soprattutto in grado di prendere in mano il film in diversi momenti, sia sul piano dell’azione che su quello della narrazione.

Non si vuole sfuggire però ad una delle principali ragioni di interesse del film, ovvero la derivazione dal fumetto di Mark Millar evidente sin dal titolo. Il lavoro fatto dagli autori è impostato sul mantenimento della struttura principale del fumetto, alla quale però vengono aggiunti diversi cambiamenti, alcuni dei quali anche piuttosto radicali.

Il primo di questi riguarda il ruolo di Spiderman: le esigenze del MCU legate soprattutto alla recente entrata dell’Uomo Ragno nel parco personaggi lo sollevano dal ruolo chiave che aveva nel fumetto. Non è infatti Peter Parker a determinare l’esito della battaglia tra il team Cap e il team Iron Man, uno scontro qui impostato su toni differenti e più sfumati rispetto al racconto di Millar.

Quanta libertà si è disposti a rinunciare in favore della sicurezza? E quanto a questa rinuncia corrisponde una effettiva sicurezza? A queste domande il film risponde proponendo due punti di vista nient’affatto manichei, dove entrambe le ragioni sono estremamente comprensibili, così come i rispettivi punti di debolezza. Se per il riformismo progressista di Iron Man credere nella società vuol dire difendere un’idea di comunità fatta di pesi e contrappesi e di eroi che non devono aver bisogno di diventare vigilanti, per l’idealismo rivoluzionario di Cap la fiducia nelle persone si basa su valori più astratti, su una cieca voglia di credere nello scardinamento di tutto ciò che mette freni alla libertà individuale, approfondendo così un discorso su Capitan American interessantissimo che lo vede inevitabilmente come uomo-bandiera.

Al termine del film si ha la sensazione di aver assistito a un’opera molto meno politica di quella che ci si immaginava, ma in compenso estremamente fedele al progetto narrativo ideato da Kevin Feige; un film che rispetta fedelmente l’universo narrativo di cui fa parte e al contempo si presenta come uno dei suoi tasselli fondamentali. Civil War riesce in tutto ciò in cui Age of Ultron aveva fallito: racconta una storia interessante, mostra scene d’azione belle e non derivative, presenta personaggi nuovi in modo solido e accattivante, e mantiene tutti questi livelli narrativi in equilibrio dall’inizio alla fine. E non è poco.

Autore: Attilio Palmieri
Pubblicato il 09/05/2016

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