Beginners

Il cinema di Mike Mills in un film “doppio”, parcellizzato, tanto intenso quanto pudico, tra piani temporali ed emotivi che si intersecano.

Lieve e profondo, intriso d’una autobiografia che sa renderlo incollocabile, fatto di un’intensità che è trasparente eppur pudica, di una messa in scena che diventa inedito teatro personale, una riscrittura dove l’invenzione è istanza, non artificio. Il cinema di Mike Mills vive, cresce dentro certe apparenti opposizioni, presunte inconciliabilità: se ci pensiamo, nell’arco delle sue narrazioni, i padri e le madri, da una parte, e i figli dall’altra – mentre a farsi forma e svolgimento dei film sono l’ipotesi e la ricerca di un territorio emotivo e di consapevolezza comune, di riconoscimento reciproco oltre le micro e macrocrepe comunicative, relazionali, esistenziali – sono la parte più visibile e al contempo più “reale” e profonda delle sue storie, un moto interno.

Ancora: Thumbsucker - Il succhia pollice, Beginners e 20th Century Women sono intrisi dei loro personaggi, delle dinamiche che attivano e subiscono, ma sembrano essere anche un po’ documentari sotterranei sui loro attori, o meglio, sui ruoli che interpretano (come se si trattasse anche di film di Tilda Swinton, Lou Taylor Pucci, Ewan McGregor, Christopher Plummer, Annette Bening, Lucas Jade Zumann, Elle Fanning ecc.). È, quello del regista, video maker e graphic designer statunitense, poi, un cinema del presente, presente a se stesso prima di tutto, ma che dà la sensazione di provenire anche da un altrove, da luoghi e umori rintracciabili tra il Woody Allen in circolo tra anni Settanta e Ottanta e vissuti e attitudini – comprese anche alcune ingenuità e aporie – di certi racconti su grande schermo indie americano Nineties. Un cinema diviso.

E Beginners ne è la riprova più potente. È il secondo film dell’autore, sta in mezzo all’esordio e alle 20th Century Women, porta nel titolo il principio ma conosce già la fine e da lì si avvia; interseca piani temporali e vite, in un tempo come esperienza, come sentimento (ma l’adesione, però, se non impossibile, è sempre condannata all’incompletezza e allo scarto); si compone di frammenti, di pezzi di memoria, in un flusso dolce e malinconico, in un’eccedenza che implode, non viene esibita, circuita sottotraccia, che nutre o al contrario immobilizza il desiderio, il bisogno. Come sempre, qui però ancor di più, i personaggi di Mills non sono mai rappresentazioni ma identità: sono stasi e movimenti, crasi e crisi, abissi; inizio e fine, fine e inizio.

La madre di Oliver (McGregor) è morta; il padre vedovo (Plummer), settantacinquenne, confessa al figlio di essere gay, di esserlo sempre stato e, nonostante questo, di aver amato – senza nasconderle la sua vera natura – per quasi mezzo secolo quella donna. Adesso vuole vivere ciò che ha dovuto sacrificare per tutta una vita: inizia una relazione con un uomo molto più giovane di lui (Goran Visnjic); una grave malattia gli concede però poco tempo da vivere. Oliver, invece, ritorna all’amore – imperfetto ma vitale – dopo la scomparsa di suo padre: durante una festa in maschera a casa di amici, travestito da Freud con barba e pipa d’ordinanza, conosce Anna, un’attrice francese (Mélanie Laurent).

Beginners è un film su Oliver e suo padre; sull’amore con Anna: separati, uniti, lontani, vicini. Ma sono “due film”, una divisione che non conosce nettezza, piuttosto una parcellizzazione, perché la soggettività di Oliver non può non confondere, fondere, tenere insieme le cose, il passato e il presente, la perdita e un possibile ricominciamento, la verità e la finzione, parti biografiche della vita familiare e privata di Mills (autore tra l’altro dei disegni realizzati all’interno della narrazione da Oliver, grafico come lui: si trovano nel libro Drawings from the Film Beginners by Mike Mills) e la necessità di dar loro espressione narrativa. E Mills riesce a fare anche di un cane, di un Jack Russell, un mondo intero, un’emozione, la presenza e l’assenza.

Il film più personale e intimo del regista, quello che ha portato a Cristopher Plummer l’Oscar come Miglior attore non protagonista. Opera geometrica e porosa, drammatica ma quasi senza peso, mutevole, prodigiosamente in equilibrio, tanto da poterla persino immaginare palindroma. Ewan McGregor e Mélanie Laurent a fare dell’innamoramento un’invenzione giocosa, senza suoni, senza voce, una penna e un blocchetto di fogli, a farne un attimo sospeso; e bombolette spray in notti illegali e pattini a rotelle tra le vie della città per proteggere un sentimento, dalla paura di ciò che potrebbe finire, quando si è appena scoperto di essere Beginners. Bellissimo.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 22/09/2017

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